Articoli: Donne e potere in azienda: Tutta un’altra storia

Quando si parla di come le donne possono o dovrebbero organizzarsi nel modo del lavoro per acquisire potere si parla in genere di lobby femminili o di networking. In realtà in Italia troviamo dei veri network solo in poche multinazionali dove questa struttura è quasi prevista dall’organizzazione aziendale. E quanto alle lobby, troviamo organizzazioni con caratteristiche di networking e lobbystico, o gruppi costituiti attorno a persone rilevanti per la loro attività su questi temi. Ma sono fenomeni limitati, a volte piuttosto elitari. Dunque, invece che partire da qui, mi sembra utile vedere come si manifesta per le donne il rapporto con il potere in azienda. Perché è questa la base per ogni ragionamento su questo tema.
Prendo alcuni spunti da una mia ricerca recentemente condotta.
Il cattivo o inadeguato rapporto con chi ha il potere, con i giochi di potere, con le dinamiche ‘politiche’ è uno dei limiti ed errori principali che le donne si attribuiscono rispetto al loro lavoro.
Ignorare, non prestare attenzione, non saper vedere e gestire i rapporti di potere e politici : c’è in generale una difficoltà delle donne a capire i meccanismi non espliciti del potere. Forse legata alla minor pratica di queste cose, forse all’attitudine a lavorare badando alla sostanza del lavoro piuttosto che al modo con cui costruire e tutelare la propria posizione.

Sono abituata a concentrarmi troppo sui risultati rispetto ai rapporti di potere o a quelli politici. Ma questo è un limite grosso e sto cercando di superarlo”. “Il trucco è capire le dinamiche che stanno dietro i comportamenti lavorativi, che sono ancora molto maschili. Bisogna essere più realiste del re: agiremo in un contesto costruito da uomini, che sono diversi da noi. E’ ovvio che hanno costruito tutto a loro immagine e somiglianza. Hanno avuto secoli per organizzarsi. Ma se vogliamo giocare dobbiamo conoscere bene le regole e soprattutto quelle non scritte”. “Avevo un capo con grande esperienza e osservandolo ho capito come gestiva le persone e le situazioni. Strategia, difesa ed attacco. Ho imparato a essere più politica”.

Dietro a questa difficoltà di vedere e gestire adeguatamente le relazioni e le dinamiche di potere in gioco, viene in evidenza un elemento cruciale, che ci riporta al problema delle lobby. E’ il problema dell’appartenenza. O meglio, per le donne, della loro esclusione dai gruppi e dai luoghi dove questi giochi vengono agiti, della non appartenenza al gruppo dominante, che storicamente è maschile.

“Ai vertici sono ancora uomini che privilegiano gli uomini”.
Le donne restano di fatto escluse anche dai circuiti informali maschili. Per l’inesperienza nel curare questo tipo di relazioni, o per la loro obiettiva impossibilità di occupare per questo scopo altro tempo di non-lavoro (come bighellonare al bar per uno spensierato aperitivo mentre i bambini a casa aspettano la cena?). O perché questi circuiti si strutturano attorno a rituali tipicamente maschili (come partecipare ad una partita di calcio Marketing contro Venditori e relative goliardate di spogliatoio?) .

“Per certo so di non aver potuto curare quell’attività di relazione, di legami ‘da sottobosco’ che i giovani rampanti curano con attenzione maniacale. Alla fine della giornata io avevo i miei ragazzini, e non potevo destinare altre risorse al lavoro. Ho capito dopo che la presenza in situazioni informali, collaterali, con gli attori significativi che compongono la rete professionale è di particolare importanza. Queste frequentazioni ‘altre’ fanno parte di uno stile manageriale che accresce la sua influenza attraverso situazioni e luoghi fuori dagli ambienti ortodossi del lavoro.” “Quando un personaggio importante per l’organizzazione è venuto a far visita al nostro stabilimento, ho partecipato alla riunione e mi sono detta disponibile anche per la cena dopo il lavoro. A questo proposito qualcuno mi aveva chiesto se non preferivo andare a casa da mio marito. Sapendo che quella sera si sarebbero giocate partite informali importanti, ho detto che non c’era nessun problema. Però il meccanismo di esclusione era già scattato. Ho dovuto neutralizzarlo.”

Essendo fuori da circuiti di potere o di appartenenza, è più difficile per le donne avere adeguati strumenti per definire strategie di sviluppo o di difesa: avere segnali tempestivi, informazioni su cosa sta succedendo e perché, quali sono i giochi in atto. E poter cercare appoggi e sostegno.
Ciò che rende più difficile migliorare o difendere la propria collocazione sono proprio i meccanismi non trasparenti con cui vengono prese le decisioni e le loro motivazioni. Perché tutto avviene in luoghi e gruppi in cui le donne non ci sono, a cui non appartengono, in cui non possono esercitare alcuna influenza. Solo quando il meccanismo e le ragioni sono chiare ed esplicite è anche possibile agire e reagire in modo adeguato.
Da questo deriva tutta la difficoltà di smascherare come avvengono le scelte discriminatorie. L’appartenenza è probabilmente il principale aspetto intangibile che fa funzionare il ‘soffitto di vetro’. Ed è probabilmente un aspetto cruciale nell’esercizio del potere.

“Mi sentivo all’apice del successo professionale. Come un fulmine a ciel sereno, il mio capo mi comunica che, a seguito di una ristrutturazione, la mia posizione organizzativa veniva cancellata. Per sei lunghissimi mesi non è stato possibile parlare con lui né con nessun altro. Non sono mai riuscita a sapere davvero cosa fosse capitato”. “Ho subito un’azione fatta di esautorazioni, accordi presi su altri tavoli di cui tutti sono a conoscenza all’infuori di te. Ho delle responsabilità, soprattutto per non aver fatto un’analisi realistica delle condizioni in cui mi muovevo, per non aver preso le misure dei giochi di potere, l’ignoranza di alcune dinamiche. Non possiamo permettercelo”

C’è dunque consapevolezza che non si tratta solo di sentirsi soggettivamente più o meno desiderose o capaci di attivare relazioni con le persone di potere. Ma che bisogna comunque acquisire la capacità di fare i conti con le strutture e i rapporti di potere, e di acquisire potere proprio.
Ma con quali strumenti? In realtà non ci sono pareri convergenti, non c’è nemmeno una tendenza dominante.
Quello che sembra interessante, per tornare al tema delle lobby, è che queste non sono molto citate tra gli strumenti auspicati. Certo, vengono considerate e da alcune ritenute positive, così come altri strumenti che possono cambiare i rapporti di forza: soprattutto, e con più rilievo, le ‘quote rosa’.

“Le donne non sanno fare lobby e non votano le donne : è un problema di autostima che porta ad avere poca fiducia nel tuo stesso genere e ad affidarti al ‘maschile’ nelle decisioni di come deve svilupparsi ed essere gestita una società”. “Fino a poco tempo fa pensavo che le ‘quote rosa’ fossero uno strumento umiliante, che potevamo farcela con la nostra competenza, la nostra grinta. Oggi non lo credo più. Bisogna fare pressione in tutti i modi possibili perché venga garantito l’accesso delle donne alle posizioni di vertice. Non c’è altro modo per garantirsi la massa critica necessaria per cambiare veramente le regole”.

In questo atteggiamento c’è certamente in parte una scarsa familiarità con gli strumenti per organizzarsi rispetto al potere. Ma c’è probabilmente un altro segnale: che le donne non si trovano a proprio agio in organizzazioni che funzionano con la stessa logica del potere maschile, una riproduzione per donne di strutture nate dagli uomini e per gli uomini. Basti pensare al prototipo storico delle lobby professionali, la massoneria, un mondo di ‘fratelli’ dove le donne non sono ammesse.
E credo che conti anche un altro fattore. Le lobby o associazioni grandi e piccole che oggi esistono sono abbastanza lontane e poco influenti sulla concreta vita di lavoro della grandissima parte delle donne in un iter di carriera. Se sono grandi lobby, possono essere strategicamente utili per la contrattazione a livello politico, per esempio, o come rete di sostegno e promozione reciproca, ma nell’ambito di ristretti gruppi di appartenenza. Così come avviene con altri gruppi di appartenenza femminile.
Si pensa spesso che nessuno strumento sia inutile, ma c’è una certa freddezza rispetto a queste forme organizzative. Perché, pensando al loro qui ed ora, alla loro condizione individuale specifica, le donne sentono il bisogno di altri approcci, più utili per sé subito, più vicini ai propri problemi immediati, più consoni al loro modo di essere. Tanto che, in molti casi, le donne non pensano a strumenti collettivi, ma a continuare il proprio percorso da sole, dotandosi di sempre maggiori strumenti di competenza e capacità. Ma molto frequentemente lo strumento di cui le donne sentono più il bisogno è la relazione con le altre donne nella stessa situazione. E’ questo che dà uno strumento apparentemente semplice ma importantissimo: non essere e non sentisi sole, non sentirsi più l’unica inadeguata e incapace. Perché questo è causa di grande sofferenza, di sfiducia in sé stesse e senso di impotenza.

“Mi è mancato l’aiuto di una donna con esperienza, che sa riconoscere certi segnali molto prima di te, che sei maledettamente ingenua, che non sai dare il giusto peso alle cose”. “ A volte mi sono sentita sola. Non ci sono molte donne nell’organizzazione al mio stesso livello con cui confrontarmi e parlare. Recentemente ho fatto un’esperienza di training con una professionista senior. Che bello poter parlare deigli stessi problemi e difficoltà! Lei capiva al volo tutto, per esserci già passata”. “Sarebbe molto utile un mentoring di un’altra donna, esperta. E’ importante avere uno spazio per esaminare da vicino le dinamiche dell’esercizio del potere. Penso soprattutto a strumenti per capire, riconoscere certe situazioni, uscendo dall’ingenuità. Per superare il tremore emotivo che taglia il fiato e recuperare capacità di analisi, e di risposta”.

Potersi confrontare con altre donne, rispecchiarsi nelle vicende di altre, fa prendere consapevolezza che i problemi, invece, sono comuni. E si può apprendere come affrontarli dallo scambio di esperienze, si può prendere forza dal sostegno reciproco. Che non significa vicinanza amichevole, ma costruire relazioni fondate su interessi comuni e azioni comuni, che possono diventare strumento potente di un altro potere.
Qui bisognerebbe aprire dunque un altro capitolo, quello dei rapporti tra donne sul lavoro. Perché il rapporto con il potere aziendale e la costruzione di un proprio potere per la maggioranza delle donne sembra passare da qui, piuttosto che dall’appartenenza ad una lobby tradizionale.
E questa è tutta un’altra storia.

Luisa Pogliana

(Pubbicato su Direzione del personale, n° 3, settembre 2008)

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