Il vero nocciolo : Pina Grimaldi

Pina Grimaldi, Direttore Organizzazione e Sistemi , Centro Direzionale di un Gruppo ospedaliero

L’organizzazione del lavoro è considerata da tempo una delle problematiche da affrontare per consentire alle donne la continuità nel lavoro, quando questo si scontra con le esigenze di dedicare tempo ai figli e alla famiglia: due ambiti che si contendono il tempo di vita. Con la fatica di coniugare i tempi e ritmi diversi in una continua altalena e con incredibili equilibrismi. Per questo le aziende all’avanguardia si sono spese con soluzioni che in qualche modo vanno incontro ai tempi delle donne: job sharing, part time verticale, lavoro telematico etc… Pur riconoscendo il valore di queste politiche, che, se non altro aiutano a risolvere problemi contingenti, queste non mi hanno mai convinta del tutto: le organizzazioni tendono a semplificare la portata di tali problemi e queste forme di part time diventano lo strumento più facile su cui scaricare la risoluzione di problematiche complesse.

Il vero nocciolo che ritengo fondamentale è piuttosto l’identità lavorativa di ogni donna. La società, l’azienda e spesso le stesse donne tendono ad affrontare il problema complesso della cura con la modalità più semplice: consentiamo alle donne di stare più tempo a casa, a discapito dell’identità di lavoratrice. Ma chi ha vissuto il distacco dal proprio ambiente di lavoro a seguito della nascita di un figlio, sa che è un’esperienza difficile, malgrado le gratificazioni di essere madre. Da un giorno all’altro passi ad essere estraniata da quello che si è vissuto intensamente fino a pochi mesi prima, si sperimenta un’esperienza di solitudine e di isolamento poco analizzata e quasi mai condivisa con altre donne. Il motivo è chiaro: come può una giovane madre dire di sentire la mancanza di un ufficio, delle relazioni con i colleghi, degli scontri con il proprio capo, se sta a casa a curare il proprio figlio? I sensi di colpa non mancano. Mentre un giovane padre ha tutta la solidarietà dei colleghi che annuiscono comprensivi ad affermazioni quali: ‘preferisco lavorare che stare a casa, perché almeno qui mi riposo’. Le donne si trovano catapultate in una dimensione che le estranea dalla loro vita di lavoro e che alla fine può portare a rinunciare alla propria identità di lavoratrice( totalmente, o accontentandosi di lavori meno qualificati, come di solito avviene lavorando part time), perché quella di madre è indubbiamente più importante, sia personalmente che socialmente. Ma in realtà non si ha la possibilità di scegliere veramente, di scegliere tutt’e due queste parti di sé. E’ indubbio che un bambino piccolo ha bisogno di una presenza genitoriale costante, ma guarda caso chi deve rinunciare alla propria identità lavorativa è la madre; quando si pone il problema di chi mette da parte non solo la carriera, ma la propria identità nel lavoro è sempre la madre. Il problema dell’organizzazione del lavoro per i genitori si pone come un problema delle donne e non delle famiglie.

Nella mia esperienza personale ho vissuto questo percorso, ma sono stata fortunata, in quanto non mi è stato dato, malgrado me, la possibilità di rinunciare al mio ruolo professionale. Quando, giovane madre con un bimbo piccolo, avevo messo da parte la mia vita professionale, sono stata riportata alla necessità di trovare il giusto equilibrio tra la mia vita familiare e la mia identità lavorativa. Paradossalmente, l’aiuto mi è arrivato dal grande Capo che ha rifiutato il rinnovo del part time, come per dire ‘adesso basta’. Quello stop alle mie paure è stato salutare, mi ha messo in condizione di valutare le mie priorità, dare loro importanza, e mettendo ogni cosa al suo giusto posto. Mi ha aiutato a dare un valore alla mia vita lavorativa e al mio valore di donna. Riflettere sul mio percorso non sempre equilibrato, mi ha consentito di non perdere di vista i miei obiettivi personali, che sono solo i miei. Questo percorso è stato difficile, e non si è mai concluso: quando i normali problemi familiari si scontrano con il mio tempo di lavoro, la tentazione di risolverli con la maggiore presenza è tutt’oggi la risposta ovvia, ma non sempre quella giusta.

Come la negazione alla mia richiesta di prolungare la presenza accanto a mio figlio mi ha aiutato a trovare la mia strada, così ho fatto con le mie collaboratrici -importanti per il nostro gruppo- che richiedevano il part time. L’alternativa che avevo era questa: rinunciare a loro, alla loro professionalità, oppure trovare una soluzione diversa con loro. Non ho dato per scontato la semplice concessione del part time che le avrebbe poste fuori dal ruolo professionale, ho parlato con loro, ho chiesto di riflettere sul valore che davano alla loro vita lavorativa. E quando questo è avvenuto, ho cercato poi di trovare insieme degli aggiustamenti che non avrebbero apportato cambiamenti significativi allo svolgimento dell’attività, ma molto nelle loro vite (aggiustamenti che a me non erano stati comunque consentiti). In particolare, ho ridefinito i loro ruoli concentrandoli sulla parte più qualificata, eliminando i compiti meno importanti, e riorganizzando il lavoro del gruppo per consentire l’inserimento del part time. Nel far questo ho posto però delle condizioni: avrebbero dovuto essere parte integrante del gruppo, non isolarsi e non abbassare le prestazioni. Questa chiarezza ha funzionato, e per la prima volta abbiamo parlato di identità nel lavoro, di quanto è necessario sentirsi parte di un lavoro comune e avere relazioni positive, di quanto la propria identità si costruisce anche attraverso il lavoro con gli altri. Sicuramente quello che ha giovato più di tutto è stato aiutarle a riflettere su come si sarebbero sentite meglio nel lavoro, se lo avesse affrontato con l’obiettivo di trarne un riconoscimento per le loro capacità, applicare i propri talenti al lavoro oltre che alla gestione familiare.

Nella mia esperienza l’organizzazione del lavoro è importante per la vita lavorativa delle donne, ma non può essere l’unica modalità, la soluzione va gestita a più livelli. Il lavoro delle donne deve avere valore e deve essere considerato prezioso per la differenza che porta nell’azienda: è necessario crederci. Per un’organizzazione è più semplice concedere il part time, spostare le persone su competenze meno centrali e puntare su altre risorse: questa è la modalità consueta. Chi ti chiede il part time, forse, ti sta dicendo che rinuncia al valore che per lei ha il lavoro perché non vede un’altra possibilità. Ecco perché penso che le donne vadano sostenute soprattutto nella fase delicata del rientro da una maternità, perché credo sia importante che ognuna possa potere scegliere e dare valore a quello che sta facendo. Tutto questo si può fare solo con la consapevolezza delle donne, parlando e cercando insieme le soluzioni. Al contrario è inutile.

Questa consapevolezza del valore dell’identità di lavoratrice, è stata importante nella gestione del mio gruppo di lavoro e la stessa attenzione è stata riservata anche agli uomini, perché riconoscere il valore dell’identità di lavoratore ad un padre che accudisce un figlio, che ne condivide la cura, è l’altra faccia della medaglia della coerenza. In questi anni ho promosso una diversa identità sul lavoro, probabilmente con varie contraddizioni, che erano le stesse che stavo vivendo personalmente.

Mi piace pensare che il miglioramento della performance lavorativa di queste persone sia in parte dovuta al giusto mix tra organizzazione del lavoro (banale part time) e l’idea della identità ritrovata, e che abbia in qualche modo giovato alla coesione del gruppo di lavoro. Sostenere l’identità professionale delle donne soprattutto nella fase delicata della maternità è fondamentale per introdurre un cambiamento nella cultura aziendale. Cambiare la cultura aziendale significa dimostrare, incoraggiare, valorizzare, sostenere l’importanza del contributo delle donne nella conduzione dell’azienda.

Questo riconoscimento del valore femminile e della necessità di sostenere l’identità lavorativa delle donne non è oggi un valore in azienda. Si assiste più spesso a una forma di tolleranza dell’assenza per maternità o al minore orario per l’allattamento, piuttosto che a un reale riconoscimento e sostegno per una fase della vita delle persone. Se questo è unito alla disponibilità delle donne a ‘rinunciare’ alla propria identità lavorativa, allora il quadro rimane lo stesso, immutabile nel tempo. Nella cultura aziendale continuerà a persistere l’idea che le donne costituiscono una presenza opzionale dipendente dalle esigenze della propria famiglia, e al contrario quelle che resistono sono ‘eroine’ o madri snaturate. Il valore dell’esperienza della maternità, le competenze che le donne e gli uomini acquisiscono dall’esperienza così importante di avere un figlio, resta inespresso, inutile in azienda, se non confacente ai ritmi e dettati dell’organizzazione del lavoro. Mentre potrebbe arricchire anche la vita aziendale.

Se oggi è difficile fare questo ragionamento in azienda, almeno le donne con responsabilità aziendali hanno il compito di valorizzare la presenza delle donne e di dare sostegno. E nel fare tutto questo costruire la propria autorevolezza per realizare un significativo cambiamento nella cultura aziendale.

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