Maternit

Serena Nobili mi ha scritto per segnalarmi un’iniziativa:
“Il CerVello di mamma e papà” ha come scopo una riflessione sull’importanza dell’esperienza genitoriale nel mondo del lavoro. Vogliamo sottolineare come l’esperienza genitoriale sia una ricchezza e non un impedimento. Il divenire genitori ci fa acquisire skills utili anche nel mondo del lavoro.à di riordinare continuamente le priorità, di interrogarsi sul senso di un modo di vivere e di lavorare. E’ difficile realizzare tutto, ovviamente, ma le donne sembrano particolarmente attrezzate per questo.
E’ interessante notare come queste concrete esperienze costituiscono un bell’esempio di ciò che si definisce con il termine sistema complesso. Un sistema può essere inteso come un tutto costituito dalla somma delle parti, come meccanismo fatto di ingranaggi ognuno con un ruolo preciso. Come territorio: se si è in un luogo, non si può essere in un altro. Come tempo segmentato in istanti, ognuno destinato ad essere ‘riempito di attività’. Oppure -ed è questo lo sguardo della ‘scienza della complessità’-, il sistema può essere inteso come insieme sinergico, vivente, in continua evoluzione adattandosi al contesto. Il comportamento più conveniente sta nella lettura della situazione. la soluzione al problema emerge nel momento in cui serve. Si può essere allo stesso tempo -con il pensiero e con l’azione (le tecnologie aiutano)- in luoghi diversi. Si possono fare allo stesso tempo più cose. La gestione del tempo non consiste nel riempire di attività ogni istante, ma nel cogliere il momento propizio per ogni diversa attività. Ogni soluzione non può che essere subottimale.
Non è facile (e da sole) trovare soluzioni di fronte all’esigenza di ‘tenere insieme’ tutta la propria vita, muovendosi dentro i vincoli aziendali e quellifamiliari, e anche restando se stesse. Ma queste donne considerano normali, e adottano spontaneamente, quei comportamenti che gli studiosi della complessità considerano i più efficaci.
Muovendosi su diversi piani si può scoprire di avere più capacità di quanto si pensi. Non esiste una dotazione fissa di risorse, da dividere tra i vari obiettivi: il desiderio, la volontà moltiplicano le risorse.
Le storie che raccontano di questo dividersi e moltiplicarsi, non parlano di rinunce. Certamente di grandi fatiche, grandi problemi, ma anche di gioie, piaceri, vitalità, soddisfazione. Non parlano di un aut aut inevitabile, ma di un et et possibile, di un accrescimento di sé rinunciando a rinunciare Anche sul lavoro. E infatti in queste storie quasi tutte affermano il valore del loro essere mamme non solo per la loro vita ‘privata’, ma come un arricchimento della persona che si porta anche nel lavoro.
“Come si diventa bravi manager? Vorrei partire da un punto di vista di cui non si parla, dall’esperienza di chi, come me, oltre a svolgere un ruolo manageriale, è anche mamma. Sì perché oggi, fare la mamma, presuppone qualità e doti del tutto simili a chi ha ruoli di responsabilità all’interno di un’organizzazione. Per organizzare le attività di un ragazzino bisogna possedere grandi abilità di pianificazione. Per far sì che il corso di basket non si sovrapponga con il catechismo che a non deve interferire né con il dentista né con il corso d’inglese… Perché nel quotidiano di una mamma nulla può andare storto, e gestire con successo un evento imprevisto fa parte della normalità. Chi è abituato a gestire tutte queste attività (soggette a un’elevatissima percentuale di imprevisti) ha sviluppato un talento per l’organizzazione e la pianificazione. E anche la capacità di decidere le priorità. Una mamma alle prese con le avversità del quotidiano ha imparato a dare il giusto valore alle cose. Se il figlio ha l’influenza basterà un po’ di antipiretico, se ha la polmonite qualche notte in ospedale è da mettere in preventivo. Così in ufficio, riconoscere le priorità e dar la precedenza alle urgenze diventa più naturale, i problemi vengono collocati nella giusta dimensione. Ed è questo che fa di un manager un bravo manager”.
“Noi, con i figli, siamo allenatissime a fronteggiare l’emergenza, e a trovare la soluzione valutandone correttamente la portata e le priorità. Pensa a quanti soldi spendono le aziende per mandarci a fare i corsi sul ‘problem solving’ e il ‘decision taking’”.
“La settimana scorsa ero in India, e durante la riunione arriva sul blackberry il messaggio di mio marito: ‘bambino febbre a 40, baby sitter ammalata, io lo porto a scuola’. Lo diffido, e comincio a cercare una soluzione. Devo trovare una persona, ma una che il bambino conosce. Alla fine ho mobilitato una mia vicina ora in pensione. Intanto ho continuato la riunione”.
“Mi vien da sorridere perché talvolta, nelle riunioni, porto esempi da ‘buona gestione familiare’ nel senso di indicare quali sono le priorità da affrontare legate allo sviluppo ed alla crescita. Come a casa, per esempio, non si compra il cellulare se non ci sono i soldi per le scarpe. Come se la gestione, almeno quella che ho in mente io, si riferisse ad un modello interno familiare, di ‘buon senso comune’ come suggerisce Bion, piuttosto che a quello delle ‘grandi imprese’”
E’ un apparente paradosso rispetto allo stereotipo secondo il quale la vita privata dovrebbe restare fuori dall’azienda. Dall’altra vita, dal fatto che le donne vivono in più mondi contemporaneamente, ognuno con necessità, problemi, richieste, scenari diversi, le donne importano nel loro lavoro un ventaglio più ampio di approcci e soluzioni, di capacità e maturità.
D’altra parte, anche sul versante familiare, molte storie indicano come nell’organizzazione della vita familiare entrano in gioco comportamenti manageriali. Essere multitasking, delegare le incombenze operative, stabilire carichi e ruoli, definire le priorità, fronteggiare l’imprevisto, trovare soluzioni per situazioni non standard. Sono anche i compiti manageriali che si svolgono in ufficio.
Le capacità, il saper fare maturato in parti diverse della propria vita si trasferiscono dall’una all’altra. Ma è un valore non riconosciuto dall’organizzazione. Anzi, si continua a scontrarsi, è stato detto da molte, con regole organizzative che costringono le donne a dimezzare la vita o a raddoppiare la fatica. Per questo, nei racconti di vita tra lavoro e famiglia, emerge con evidenza un aspetto nuovo.
Su questo terreno il conflitto di genere esce dall’annoso problema della divisione dei compiti con il marito, esce dalla relazione di coppia come eravamo abituate a vedere. E si sviluppa invece verso l’organizzazione aziendale. Perché è questa, più che l’organizzazione familiare, che fa diventare la maternità un problema per le donne impegnate nel proprio percorso lavorativo.
Il conflitto si sposta dunque verso l’azienda, le sue gabbie organizzative inutilmente costrittive, la sua cultura legata a un punto di vista maschile. Esce dal privato e si sposta nel pubblico.

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