Un passo in alto. Estratto dall’intervento di Luisa Pogliana al seminario di BEWin all’Istituto Besta di Milano

Piramide Besta
La ‘piramide’ mostrata nell’intervento introduttivo è un’efficace sintesi della presenza di uomini e donne nei diversi livelli professionali e gerarchici al Besta. Purtroppo è solo una delle molte statistiche con le stesse evidenze: le donne si diradano via via che si sale verso i ruoli decisionali alti fino a sparire nei vertici.
Conosciamo bene il meccanismo che ci ostacola l’accesso a quelle posizioni: le élite tendono a riprodursi uguali a se stesse, così gli uomini continuano a cooptare gli uomini. Tanto che su questo sono ci sono da tempo anche interventi istituzionali (le quote nei CDA, le varie leggi sulla parità…). Ma certamente non possiamo aspettare che il cambiamento ci venga solo dall’alto, dalle istituzioni. Non basta.
La proposta di questo incontro è di spostare l’attenzione su di noi, su quella parte del problema che può stare nelle nostre mani.
Prendo per questo qualche dato diverso sull’occupazione femminile, fornito dall’Istat per la prima volta per le grandi città, perché ci permette qualche riflessione in questa direzione. Prendiamo la situazione di Milano, che emerge in modo straordinario.
L’occupazione femminile è altissima (70%) superando le altre grandi capitali europee; le donne sono la metà delle persone che lavorano (48%), molto più istruite degli uomini (laurea 60% vs 35%); e sono presenti in misura all’incirca uguale agli uomini in quasi tutti i settori e livelli di qualificazione. Tutti, tranne uno: i ruoli di vertice. Restano fortemente sottorappresentate nei luoghi decisionali alti, dove si esercita il potere. Qualcuno ha osservato che è un segmento piccolo (3,4% degli occupati), ma è l’élite, che decide per il restante 96,6% di persone che lavorano e per i destini delle aziende. E’ clamoroso dunque che anche in questa situazione le donne in gran parte vengono fermate davanti a quell’ultimo gradino.
Questo scenario consente un’ipotesi.
Certamente contano i fattori strutturali, ma non in modo determinante: per esempio, si può dire che a Milano c’è più lavoro e più servizi, ma non più di altre capitali europee; ci sono più soldi per studiare, ma questo non porta a un’uguale livello di istruzione tra gli uomini. Dunque contano anche gli atteggiamenti soggettivi.
Possiamo pensare che le donne a Milano sono molte nel mercato del lavoro e in buone posizioni anche perché il lavoro -oltre il bisogno economico- lo vogliono per la propria autorealizzazione (altrimenti perché studierebbero tanto?). Anche la soggettività espressa dalle donne le ha portate ad arrivare quasi dappertutto.
Dunque possiamo dire che allo stesso modo anche l’accesso ai luoghi decisionali può essee determinato anche dal nostro atteggiamento verso il potere in azienda.

‘Potere’ è una parola ambivalente, tra dominio e possibilità. Ma nelle aziende si esprime di solito come comando, controllo, arbitrio, totale prevalenza del lavoro sul resto della vita. Logiche in cui più spesso le donne non si ritrovano. Così tendono a tenersi lontane da questi ruoli, anche perché questa cultura finisce per attivare resistenze anche dentro di noi.
Prima di tutto è ancora molto diffusa la difficoltà a darsi valore. Perché il modello sociale di riferimento è l’uomo, per cui una donna per definizione non è mai adeguata, soprattutto nei territori da sempre maschili, come lavoro e potere. Tanto che in azienda vige un doppio codice di valori: ciò che in un uomo è una dote, in una donna diventa una mancanza, una negatività .
Anche il forte impegno di tempo -che in quei ruoli ‘deve’ prevalere su ogni altro aspetto della vita- frena chi desidera realizzarsi nel lavoro e negli affetti famigliari allo stesso tempo. In una donna scattano i sensi di colpa verso i figli. Una ‘colpa’ (ma di che cosa?) legata spesso al modello per cui la maternità possa sopraffare il resto dell’identità di una donna. In realtà sottovalutiamo quanta ricchezza porta ai figli una madre soddisfatta della pienezza della propria vita. E i figli lo recepiscono (rimando a una mia ricerca ‘La mia mamma fa un lavoro tipo dirigente d’azienda’ fatta sui vissuti di bambine e bambini verso il lavoro manageriale della madre ).Tutti questi fattori possono intaccare la fiducia in noi stesse, finiamo per pensare ad una nostra incapacità personale di gestire il potere. Ma da alcuni anni tutto questo ha cominciato a cambiare.
Molte donne infatti hanno colto la potenzialità di stare nei ruoli decisionali alti se sono pensati e agiti diversamente. Hanno rifiutato di adeguarsi alla cultura che domina in quei luoghi, fondandosi invece sul proprio modo di concepire il potere, inteso come assunzione di responsabilità verso l’azienda in tutti i soggetti che la compongono. Così hanno realizzato nuove politiche che vanno oltre le concezioni e le prassi consolidate del managent, con benefici imprevisti per l’azienda e chi vi lavora.
E’ dunque utile mettere a fuoco i criteri di queste politiche, cosa è stato fatto e come è stato possibile: perché può servire a ognuna per ragionare sulle proprie possibilità, prendere forza da quello che altre donne sono riuscite a fare. Rimando permquesto al libro Esplorare i confini. Pratiche di donne che cambiano le aziende per conoscere la ricchezza di esperienze fatte da queste donne e i pensieri che hanno prodotto. (…)
Ragionando su queste esperienze e sui loro risultati, può sembrare che si siano sviluppate in modo tutto positivo. Ma non è così. Le politiche di queste donne sono spesso contrastate, proprio perché chi detiene il potere ha interesse a non toccare lo status quo su cui il suo potere si regge. Occorre fatica e coraggio, e attenzione a come muoversi nell’ambiente aziendale. Eppure queste donne hanno usato lo spazio di autonomia insito nel loro ruolo per fare cose più sensate. Non si sono arrese all’idea che sia impossibile cambiare.
Ne deriva un messaggio: ognuna di noi può fare qualcosa. Chiariamo subito che nessuna è tenuta ad assumere ruoli impegnativi se non lo desidera. Ogni scelta va bene se è consapevole e libera.
Ma dobbiamo anche considerare che forse non ci concediamo di desiderare una situazione in cui possiamo avere potere, cioè la libertà di agire.
Se desideriamo raggiungere ruoli più alti (e oggi ci troviamo qui per parlare di questo), facciamo bene a provarci, a seguire la nostra aspirazione. Chiediamoci come.
Non ci sono soluzioni uniche e predefinite. Ci sono però modi che possono aiutarci a trovare la nostra soluzione.
Aiuta molto prendere consapevolezza delle nostre resistenze. Spesso siamo noi, per le ragioni che abbiamo detto, a frenarci fin dal desiderio (da una ricerca su grandi aziende americane le donne che aspirano a una posizione dirigenziale oscillano tra il 33 e il 52% mentre gli uomini arrivano al 65%) . Ma senza colpevolizzarci, pensando che abbiamo bisogno di una formazione più o meno psicologica per renderci più ‘adeguate’ a qualche comportamento definito.
Tutti gli strumenti personali vanno bene se ne ricaviamo benefici. Ma avendo la chiarezza che non siamo noi individualmente ad avere mancanze: siamo sempre immerse in un contesto che su questi ‘problemi’ influisce o li crea.
Si tratta piuttosto di muoversi nella specifica situazione che ci si trova a vivere, cogliendo le possibilità che ne emergono. Si tratta di non rinunciare a cogliere l’occasione, quando ci accorgiamo che ci sono delle finestre di opportunità.
Anche se non siamo affatto sicure di essere del tutto preparate. Anche gli uomini quando assumono un ruolo importante non sono preparati, ma non per questo si tirano indietro. Spesso si scopre che la realtà è meno difficile di quello che la paura ci fa pensare. Se ricordiamo le volte nella nostra vita in cui abbiamo sorpreso noi stesse, facendo cose che non avremmo immaginato di saper fare, non avremo più motivo di tirarci indietro.
Per questo sicuramente serve -per esperienze fatte- confrontarsi con altre donne nella stessa situazione: dentro e fuori la propria azienda, che vorrebbero fare questo passo o che l’hanno fatto. E’ più facile imparare a vedere il proprio valore attraverso il valore che le altre vedono in noi. Darsi valore e darlo alle altre porta a darci sostegno reciproco. E si può capire l’insieme di fattori -la situazione e come in questa si è agito- che ha permesso ad alcune di assumere ruoli alti.
Questo è l’aspetto essenziale che possiamo prendere dalle politiche realizzate da donne manager a cui abbiamo fatto riferimento: agire, provarci, magari scontrarsi con dei muri ma quando si trova una porta, entrare. Si corrono sempre dei rischi, ma il più forte è restare ferme se insoddisfatte. (…)

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