Vi ricordate il ‘caso Parmalat’? Maria Stefania Carraresi: agire in banca nell’interesse del cliente

Rispondere veramente ai bisogni dei clienti, cioè allo scopo economico per cui esistono le banche, che invece vediamo ormai concentrarsi solo sui loro profitti. Ma si può occuparsi di finanza pensando che non è questione di numeri ma di persone. Perché un “rapporto seriamente professionale è anche e soprattutto umano”.  E’ l’atteggiamento di Maria Stefania Carraresi, Direttore di Filiale di un grande gruppo bancario.  Che ricorda un’altra bella esperienza, una società finanziaria fondata su valori che vengono dalla differenza femminile http://www.ted.com/talks/halla_tomasdottir.html E Maria Stefania l’ha  segnalato al suo Direttore Generale.   (Luisa Pogliana)

Lavoro in banca, in un grande gruppo bancario. Oggi, e da diversi anni, sono direttore di una filiale (dopo aver diretto altre filiali). Ho iniziato a lavorare molto giovane, quando l’ambiente bancario era fortemente maschilista. Ricordo, anche se sarebbe da dimenticare, quella volta che in un colloquio con un direttore a cui chiedevo un cambiamento di mansioni per imparare un lavoro nuovo, mi rispose con una domanda: “Suo marito non la soddisfa?” – Altro episodio spiacevole: in un momento poco felice della mia vita privata, in cui ero stata costretta a chiedere uno spostamento in una piazza diversa, andando a salutare un mio superiore il giorno prima del trasferimento, questi mi chiese se volevo uscire a cena con lui quella mia ultima sera a Milano (!!!)  Ho dovuto lavorare il doppio per dimostrare di valere quanto e forse più di tanti uomini, non curandomi di battute poco eleganti di qualche collega e di calunnie o insinuazioni sul mio conto. Ma mi sono sempre difesa da sola: o con l’indifferenza, portando avanti il mio impegno lavorativo senza calpestare nessuno, o con secche ‘botta e risposta’.  Il lato positivo è stato invece quello di aver ricevuto gratificanti apprezzamenti da coloro (uomini, superiori o direttori) che mi hanno espressamente ringraziato per il modo fattivo con cui avevo collaborato e li avevo supportati e affiancati nelle varie fasi lavorative, anche difficoltose, e quindi mi hanno comunicato quanto fosse stato prezioso il mio contributo personale.

Per quanto riguarda le mie esperienze di direttore. Prima di tutto ho sempre tenuto la porta del mio ufficio aperta a tutti. Non ho mai fatto particolari distinzioni tra clienti di serie A o B; chiunque poteva e può venire da me se lo desidera ed è sempre stata mia abitudine girare spesso per il ‘salone’ per salutare i clienti presenti e scambiare con loro qualche parola. Mi colpì quel cliente che, alla notizia del mio imminente trasferimento altrove, mi disse: “Perderemo un bel punto di riferimento, ci sentiremo soli”. Ogni volta che, come direttore, lasciavo una filiale, nell’impossibilità di salutare tutti, inviavo una lettera ‘del tutto mia’, totalmente al di fuori degli schemi convenzionali/istituzionali, impostandola in base alle caratteristiche peculiari di quella piazza, di quell’ambiente, sulla base dell’arricchimento, soprattutto umano, che mi aveva apportato. Questo non è ‘marketing’ perché, generalmente, quando uno sta per andarsene, cambiando anche città, non si cura più di ciò che lascia ma pensa già a ciò che troverà. Lo considero invece una questione di stile, di rispetto ed educazione, ed anche un bisogno (del tutto personale) di dimostrare che  ‘quel’ tipo di rapporto, pur essendo seriamente professionale, è stato veramente anche e soprattutto umano.

Quali conseguenze da questo comportamento? Da parte dei clienti: grande considerazione e fiducia, al punto che mi cercano ancora oggi clienti avuti anni prima per chiedermi pareri e consigli, oppure alcuni hanno continuato a seguirmi, in veste di clienti, da una filiale all’altra (anche in piazze diverse dalla loro residenza). Altri ancora sono anche divenuti cari amici. Da parte dei colleghi: ammirazione e punto di riferimento. Riconoscimento del mio ruolo esercitato in modo diverso, al di fuori dei soliti canoni. Vari miei collaboratori (cresciuti alla ‘mia scuola’) sono diventati a loro volta direttori di filiale e a posteriori mi sono resa conto che hanno appreso molto dai miei insegnamenti/comportamenti. E questa per me è stata una grande soddisfazione.

Vi ricordate il famoso ‘caso Parmalat’? Ebbene, alle prime notizie di probabili seri problemi, riunii i colleghi addetti agli investimenti e decisi di aprire una ‘unità di crisi’. Ordinai di telefonare a tutti i clienti possessori di titoli Parmalat per informarli delle avvisaglie negative invitandoli a venire in filiale per decidere il da farsi. Una parte di clienti vendette subito i titoli senza perdere alcunché, altri vollero aspettare (chi più chi meno), essendo comunque costantemente informati, e chi ci rimise veramente era perché aveva deciso spontaneamente di attendere gli eventi che sperava migliori. So per certo che quanto sopra non fu fatto altrove.

Alle riunioni periodiche con i miei colleghi direttori, al cospetto di superiori o del Direttore Generale, mentre regna l’abitudine di ascoltare e starsene zitti, sono solita intervenire, quando ne ravviso il caso, anche e soprattutto per far presente criticità e suggerire o sollecitare miglioramenti. Inizialmente ero bollata come quella polemica, ma da quando si è finalmente compreso il mio movente costruttivo mi sono resa conto (e mi è stato anche esplicitamente detto) che ogni volta che prendo la parola sono ascoltata con attenzione e interesse, molto dagli altri colleghi direttori e anche dai superiori da cui ho poi visto prendere iniziative in base ai miei suggerimenti e alle idee esposte. Il giorno successivo ad ogni riunione di cui sopra vengo interpellata dal coordinatore delle filiali per avere da me un feedback, a dimostrazione della considerazione riscossa dai miei pareri, per quanto abbia ormai la nomina di pasionaria, ma, contemporaneamente, seriamente e professionalmente impegnata in modo ineccepibile.

Mi sono anche impegnata più volte a caldeggiare l’accoglimento di sponsorizzazioni a supporto di innovative iniziative culturali del mio territorio, in primis create o promosse da donne e, sin qui, ci sono riuscita e ne sono stata gratificata. A volte mi rendo conto di pensare e agire ‘più avanti’ e allora mi devo fermare allorquando mi accorgo che l’ambiente non è ancora pronto per alcune idee che propongo. Spero sempre che arrivino i tempi giusti.

Tutto ciò che ho scritto può sembrare un auto celebrazione, in realtà è una consapevolezza acquisita dopo tanti anni di perseveranza nel proseguire il mio percorso lavorativo con umiltà e con i miei fondamentali principi: lealtà, trasparenza, onestà intellettuale e valorizzazione del rapporto umano, all’interno e all’esterno.

 

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