Le donne al governo delle aziende. Un contributo di Pina Grimaldi

Pina Grimaldi, non potendo essere presente all’incontro sul tema Le donne: un altromodo di governare le aziende (Milano, giovedì 3 febbbraio, ore 18.30, via Sanfelice 3), ha mandato un suo contributo alla discussione.

Le donne al governo delle aziende

Il titolo del mio intervento richiama il potere, rovescia l’immaginario del potere, mettendo semplicemente le donne al governo delle aziende. Il ragionamento che vorrei seguire, al contrario non è così semplice, nel senso che non basta banalmente sostituire gli uomini alle donne per ottenere un diverso modo di governare le aziende. Vorrei quindi sfatare questo modo semplicistico di pensare che donne e uomini siamo uguali, stesse opportunità e che oggi questa questione è superata e così via di seguito. Spesso gli interlocutori si stupiscono: dov’è il problema? Appunto… c’è un problema e molto ampio.

Malgrado le donne siano presenti in politica, nelle istituzioni e dappertutto, sappiamo come la loro presenza non sia scontata. L’essere donna in qualsiasi contesto aziendale pone un problema, perché introduce con la sua sola presenza una dissonanza nei rapporti storici e di potere tra le persone, le donne non seguono le regole del potere consolidato e dell’esperienza di potere non codificata, non scritta. Le donne seguono altre logiche sconosciute ai più e soprattutto non riconosciute nel loro valore neanche dalle donne stesse. Mi piace riportare la frase di un’altra donna che con molta semplicità chiarisce uno dei tanti termini della differenza tra uomini e donne nella relazione con il potere in azienda: Per l’uomo l’affermazione di sé rimane una conquista per determinare il proprio ruolo sociale. Per una donna non è un obiettivo sul quale si determinano i rapporti con gli altri ma con se stesse.Credo come donna che questo sia il punto nodale che spiega e contestualizza il mio rapporto con il potere: sia il potere esercitato, che quello ‘subito’: le mie logiche, i miei valori, le modalità con le quali esercito il mio potere e le modalità con le quali mi consento di subirlo, sono diverse da quelle di un mio collega uomo. Su quelle che sono nello specifico i termini della differenza e le modalità con le quali si esprime questa differenza, sarebbe impensabile definirle ed esprimerle in questo spazio. Noi dell’Associazione Donnesenzaguscio abbiamo dedicato tanto del nostro tempo a riflettere a confrontarci tra noi. Pertanto su questo rimando ad altri contesti. Il punto nodale dicevo è la differenza che contraddistingue il mio rapporto con il potere con quello esercitato da un uomo.Le donne si inseriscono nelle gerarchie aziendali con un vizio di forma: il proprio genere. Un Capo uomo è riconosciuto come tale fino a prova contraria. Una donna Capo è non riconosciuta come tale, fino a prova contraria. Possiamo intessere tutti i ragionamenti storici, antropologici che ci pare, ma la verità è questa. Questo vizio di forma conduce di per sé ad una varietà di problemi. Intanto, non siamo prese sul serio, la fatica che facciamo tutte quante ogni giorno è quella di farci prendere sul serio, di affrontare i contesti aziendali con la forza e la determinazione, perché dobbiamo recuperare il nostro gap di genere. Questa è una certezza. Le donne sanno di cosa parlo; le modalità, le situazioni che giornalmente una donna in una posizione di potere deve gestire sono anche dettate dalla difficoltà di farsi accettare dal proprio interlocutore quale soggetto credibile. Proprio così: soggetto credibile.

Questa difficoltà conduce in sintesi ad un’ulteriore considerazione: siamo consapevoli noi donne di essere dei soggetti credibili? La risposta a questa domanda non è assolutamente scontata. Intorno a me vedo tante donne che, malgrado le posizioni di potere ricoperte, abdicano al loro ruolo e lo delegano. Questa è una verità che dobbiamo rendere manifesta. Le scusanti sono tante: i ruoli di potere sono maschili, la cultura di potere è maschile, sono quasi nulli i modelli di riferimento di donne autorevoli….. Insomma non ci sono ad oggi riferimenti certi su cos’è e come si esprime il potere al femminile. La verità è che il potere alle donne non piace, non lo sentono proprio, e quindi non si prendono sul serio nei ruoli di potere. Questo quadro assume i contorni del classico circolo vizioso, dal quale non si esce, perché l’effetto ne è anche la causa. Arrivo al cuore della questione: le donne nel governo delle aziende. Credo che sia arrivato il momento per noi tutte, all’interno di qualsiasi ruolo ricoperto di potere o non, assumersi la responsabilità del proprio potere, entrare nel campo della consapevolezza di ciò che si è all’interno della propria organizzazione. Ecco perché il problema non è banalmente la sostituzione delle figure di potere femminili a quelle maschili che produce cambiamento, bastasse questo, molte aziende sarebbero a posto. Al contrario, è necessario creare una cultura del potere al femminile che sia radicata nella consapevolezza del proprio ruolo. Mi spiace dire che purtroppo non ci sono modelli, i modelli sono dati dalla nostra fatica quotidiana e dei piccoli successi che tutti i giorni sperimentiamo nelle nostre organizzazioni. I modelli dobbiamo costruirceli noi, giorno dopo giorno dalla nostra esperienza e dal confronto con le altre donne, con le quali possiamo condividere pensieri ed esperienze.

Sicuramente è necessario tracciare un percorso. L’esperienza di donne senza guscio personalmente mi ha aiutata a darmi un metodo e una misura. Il confronto con altre donne, con le proprie esperienze e le proprie insicurezze, poterle mettere nella prospettiva di esperienze condivise, mi ha dato la possibilità di capire che non si tratta di problemi personali, ma di problemi culturali e di genere.

Quindi dicevo il percorso: definire il contesto nel quale agiamo è importante, dare valore a ciò che viviamo è importante. Altrettanto importante è discutere, condividere le esperienze. Solo insieme ad altre donne possiamo costruire le relazioni che ci consentono di vivere le nostre esperienze qualificanti, per la costruzione comune di una ‘autorevolezza diffusa’. Fino a quando noi stesse non ci poniamo in condizione di essere ‘autorevoli’ fino a prova contraria, sarà difficile che ci venga riconosciuta una ‘autorevolezza diffusa’ e direi di genere. Concedersi l’autorevolezza significa superare la paura, la paura di mettersi in gioco in un’arena maschile. Lo so che questo spaventa, ma non ci sono scorciatoie, la nostra autorevolezza passa attraverso le forche caudine del riconoscimento della nostra cultura, del nostro modo diverso di essere, di esercitare il potere e di subirlo. Non sto parlando di cose semplici, poiché si tratta di non mimetizzarsi all’interno di un modello maschile, di non assumere comportamenti che non ci appartengono, nasconderci dietro modalità maschili per vergogna di mostraci per ciò che siamo: appunto, donne. Essere donne e comportarsi come tale è un disvalore, quindi molte donne evitano di essere se stesse, sposando modelli e stili di relazione ‘vincenti’.

Per fare tutto questo serve una forte dose di consapevolezza, di ciò che si muove dentro e fuori di noi, di ciò che ci aspetta e di ciò che si perde. In particolare si perde la ‘sicurezza’, il caldo guscio dove ci si può rintanare. Con la scusa che non siamo capite, perché viviamo in un mondo maschile, pensato ed organizzato per gli uomini. Oppure la sicurezza di adottare modelli tradizionalmente maschili. Appunto perdiamo il guscio, ed in quanto donne senza guscio ci troviamo scoperte a mani nude in territorio sconosciuto. C’è in fondo bisogno di essere assertive, di andare oltre i dubbi che ci attanagliano, come se non fossimo in grado di valutare il livello di rischio. E’ necessario accettare il rischio, insito in qualsiasi decisione. Ci sono donne di valore che per prime loro stesse non credono in sé stesse, nella loro capacità . Ci si perde proprio nel momento in cui si può raccogliere. In questo però vedo una svagatezza: non ci si ferma a capire. Questa incapacità di essere, di raccogliere, di essere autorevoli non mi sembra venga percepita come una perdita. Sicuramente c’è una certa vergogna, pudore nell’affrontare questi argomenti, forse è questo pudore che indica che il malessere è grande. Sono convinta che oggi in azienda la consapevolezza non sarà ancora sufficiente. Come tutte le battaglie chi sta in prima fila è destinato a soccombere, ma chi verrà dopo potrà avere più possibilità. Ciò sarà vero nella misura in cui non si abbandona oggi la prima fila. Vorrei chiudere con l’immagine di una donna senza velo, consapevole, al timone di una nave che è appunto l’azienda, con tutti i rischi e le sfide e le scommesse che questo porta con sé, e con la consapevolezza dei propri limiti, delle proprie paure che ne fanno appunto un capitano autorevole, perché cosciente che non si può guidare una nave senza le competenze di tutti, anche se alla fine il capitano è solo, quando deve assumersi la responsabilità di tutti.

Pina Grimaldi

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