Ottica della responsabilità. Un articolo di Luisa Pogliana (estratti dal libro “Esplorare i confini. Pratiche di donne che cambiano le aziende”, in uscita a settembre, Guerini)

Mi sono orientata con i miei princìpi etici”, “Ho fatto quello che mi sembrava giusto”, “Si può fare profitto rispettando dei valori”  La responsabilità di influenzare le cose nella direzione in cui credo…  Nel mio ruolo la responsabilità verso gli altri è molto rilevante… Sento la responsabilità nei confronti di famiglie il cui futuro dipende anche da me… Il potere è uno strumento per esercitare la responsabilità… Sento una forte responsabilità verso tutta l’azienda, negli uomini riscontro più individualismo, autoreferenzialità …”

Molte manager tengono come riferimento nel loro lavoro quello che a loro sembra giusto. Alcune, raccontando delle loro pratiche, parlano esplicitamente della loro ‘etica personale’. Un concetto che sembra pesante, doveristico. E invece contiene un’idea di libertà.  Perché l’etica è un’ottica, per usare le parole di Levinas. E’ lo sguardo con cui si guarda il mondo, il nostro libero modo di vedere. E’ come noi scegliamo di essere, anche nell’attività di manager.  Un’altra parola viene spesso associata da queste donne al senso del ruolo manageriale: responsabilità. Responsabilità è ‘dare risposte’, ‘rispondere a un impegno’.

E’ questo il loro modo di esercitare il potere insito nel ruolo. Vedono l’impegno personale -il loro essere presenti nella situazione- prima del ruolo, si sentono impegnate a dare risposte, perché sentono l’azienda anche come cosa propria, cosa viva e dove si vive una parte della vita. Ci mettiamo del nostro”, dicono spesso, perché anche quel lavoro è parte di sé. Non si è lì solo ad esercitare un ruolo, è una persona che sta in quel ruolo

Dunque l’ ‘etica della responsabilità’ che emerge da questo atteggiamento non è un attenersi a uno schema che viene dall’esterno. E’ una visione e una scelta personale.Certamente scegliere comportamenti ‘responsabili’ invece di altri può comportare un ‘peso’, perché non è facile agire in base alla propria idea di cosa è giusto, dovendo tener conto del contesto e dei limiti oggettivi. Ma c’è anche la soddisfazione di fare come si è convinte che si debba fare, di vederne i risultati.

Guardare all’etica implica anche chiedersi cosa vuol dire essere parte della classe dirigente. I manager, nella maggior parte dei casi, tendono a occuparsi di ciò che viene strettamente richiesto dai vertici, dalla proprietà e dagli azionisti. Finendo per disinteressarsi del futuro dell’azienda e per non preoccuparsi di chi nell’azienda lavora. Questa è un’etica negativa che qualcuno chiama ‘del dovere’, inteso come dovere del manager di ubbidire ai vertici, di fare gli interessi di chi in azienda detiene il potere. Qualcuno la chiama più propriamente ‘etica dell’obbedienza’. Persino manager di alto livello e capaci di pensiero critico pensano spesso che “non si può fare niente”, che il manager è necessariamente un mercenario. Una concezione purtroppo sostenuta anche da buona parte dell’accademia, che considera il manager un agente al servizio di un soggetto principale, il cui interesse prevale su ogni altro: un ‘agent’ al serivizio di un ‘principal’.

Quello che invece vediamo succedere più spesso tra le donne manager è che non si arrendono facilmente al ‘non si può fare’, provano a non autolimitarsi, cercano di allargare i vincoli aziendali. In questo si manifesta il loro senso di responsabilità. Non parlano in astratto di valori, o di ‘responsabilità sociale’, ma credono in quello che fanno e fanno quello che a loro corrisponde.

Qui sento il potere: posso farlo. Se mi dicono che non devo, sta a me dimostrare come si può trasformare il clima e la produttività facendo come dico io”. Spesso gli uomini sono più semplici, se il vertice decide che si fa in modo diverso da come pensano, loro se ne fanno una ragione e portano avanti quella decisione. Noi donne lo viviamo in modo più sofferto, proviamo a discutere”. Essere presente a me stessa anche nel lavoro, soprattutto quando devo fare delle scelte che incidono sulla vita di altri, mette tutto in un’altra prospettiva. Spesso non c’è bisogno di atti di eroismo per evitare di farsi impiegare in cose dannose. A volte basta ragionare, cercare altre strade che comunque convengano a tutti”.

C’è sempre un vincolo che queste donne si danno, un orientamento non al proprio potere ma all’interesse comune. Non perché sono delle ingenue idealiste che non pensano al proprio ritorno, semplicemente perché lo perseguono attraverso la buona gestione aziendale, considerando tutte le parti in gioco. Su questo si fonda la loro etica. L’azienda è intesa come un luogo in cui convergono soggetti diversi con interessi diversi, ma di tutti bisogna tenere conto perché tutti contribuiscono a crearne il valore. L’azienda funziona bene, con benefici per tutti, se chi la guida trova un’area di ragionevole equilibrio tra questi diversi interessi, pur nei limiti delle possibilità e delle mediazioni necessarie. Al management compete questo ruolo. E’ una visione che contrasta – senza esplicitarne l’intento, forse anche senza averne chiara consapevolezza- con quanto succede oggi in molte aziende, e con il recente prevalere della finanza sull’economia reale. Se lo scopo è solo prendere la ricchezza prodotta nell’azienda per portarla sul mercato finanziario, non conta il valore reale di quell’azienda e quello che può creare nel futuro. E il lavoro è un costo da comprimere e sempre sacrificabile. Ma l’idea che l’economia possa funzionare solo così è un convincimento imposto. Ci sono invece teorie economiche che vedono vantaggi nella responsabilizzazione e remunerazione di tutti rispetto alla creazione del valore.

In questo modo di vedere il ruolo di manager si mette in campo un’idea di giustizia: governare l’azienda come costruzione comune, come patrimonio sociale. Consapevoli, ovviamente, che l’azienda ha come obiettivo il ritorno economico. Ma convinte che il compito di ogni manager è trovare il modo di perseguire questo obiettivo nel rispetto verso tutti e con remunerazione di tutti. L’ottica della responsabilità è strumento necessario per la convivenza soddisfacente dei diversi interessi.

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Questo articolo, come quelli recentemente comparsi qui sono estratti dal testo del libro di Luisa Pogliana in uscita il prossimo settembre: Esplorare i confini. Pratiche di donne che cambiano le aziende, Guerini e Associati, settembre 2016.

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