Un passo in alto: politiche di donne top manager per portare più donne in ruoli decisionali. Un piano di Marilena Ferri in Autogrill

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Le donne entrate nel top management possono incidere sul lavoro anche delle altre donne. Le donne con ruolo di AD sono il 50% più propense degli uomini ad avere donne come responsabili della finanza -CFO, territorio fortemente maschile- o responsabili di business unit (ricerca Credit Suisse ,Gender 3000). Ma c’è di più: donne in posizioni di vertice attuano progetti per portare altre donne a ruoli di responsabilità. Ecco una eccellente esperienza di Marilena Ferri, HR & Organization di Autogrill (internazionale).

“La nostra azienda -come altre- ha una manodopera a maggioranza femminile, ma salendo di livello le donne si riducono a poche. Analizzando le promozioni, abbiamo visto che si inverte la proporzione di uomini e donne passando dal livello impiegatizio al livello quadro, e ancora di più al momento del passaggio alla dirigenza. E già nelle preselezione di chi candidare alla dirigenza, le donne vengono scelte quando già hanno fatto esperienze positive, mentre gli uomini in base alle potenzialità. Per cui molte arrivano sì ai ruoli dirigenziali, ma più tardi. Vengono tenute ferme per un po’, mentre gli uomini crescono, anche in retribuzione. In Italia, per valutare le candidature alla dirigenza -e per livelli assimilabili di middle management per i paesi esteri dove la dirigenza non esiste – abbiamo fatto circa duecento colloqui, chiedendo anche a ognuno cosa volesse diventare in azienda. Mentre gli uomini esprimono chiaramente come pensano la loro carriera, le donne in gran parte non sanno dirlo, si dichiarano solo disponibili alle proposte dell’azienda. Ma non avere un progetto significa aspettare passivamente che l’azienda dica di cosa ha bisogno, invece di impegnarsi per il proprio obiettivo. E’ un problema anche aziendale: si perdono per strada delle energie e dei talenti. Abbiamo perciò deciso un intervento di sostegno e sviluppo, con un piano di mentoring da parte dei top manager verso le donne candidate. Per raggiungere questo scopo specifico abbiamo dovuto preparare i mentori stessi (nella maggior parte uomini) sulle ragioni del progetto, sensibilizzarli al problema, dato che non lo vedevano: “noi non facciamo discriminazioni di genere”. Abbiamo agito su due livelli, studiando a livello razionale le evidenze aziendali, e mostrando loro un video a forte impatto emotivo con le immagini di come le donne sono rappresentate nelle pubblicità (sottomesse, legate, stereotipate…). Sono rimasti impressionati, hanno cominciato a prendere una consapevolezza del problema che non tutti avevano. Sono stati poi affiancati da una coach, in modo che non mancasse mai il punto di vista di una donna.

Abbiamo individuato tre competenze da sviluppare nelle donne candidate.  La prima è la capacità di fare alleanze funzionali, che servono a raggiungere un certo obiettivo, quindi possono essere mobili. Abbiamo infatti riscontrato un’attitudine più femminile alla ‘fedeltà’ -che non è ‘lealtà’- rispetto al loro capo (uomo o donna), perché sono grate di essere state promosse. Così non si esprimono diversamente anche se non sono d’accordo. E’ una relazione su base affettiva, che in sé è positiva. Il problema però è che viene sovrapposta confusamente ai rapporti di lavoro, e diventa uno schierarsi non costruttivo: quella donna non esprime il suo pensiero e le sue capacità, si lega a quel capo anche se sbaglia, e non lo aiuta a vedere gli errori. Il secondo aspetto è l’ambizione. Sapere quello che si vuole, esprimerlo. Abbiamo fatto vedere quanto facilmente gli uomini ci riescono: se un uomo può dire che vuole diventare CFO, e magari non è nemmeno tanto brillante, perchè una donna non lo può dire di sé? Le abbiamo fatte riflettere sulla loro ambizione, finché hanno visto le loro potenzialità che da sole non riuscivano a vedere. Sono arrivate a definire il loro obiettivo a breve-medio termine, con un piano per arrivarci.  A questo punto c’è stato un momento critico: quando una donna aveva chiaro di voler fare carriera spesso si rendeva conto che si creavano problemi in famiglia. Cosa per nulla problematica invece per gli uomini. Succede facilmente che i mariti, di fronte ad una maggiore carriera delle mogli hanno una crisi (anche se poi magari finiscono per sostenere la moglie). E’ servito molto il confronto con le altre colleghe, perché ognuna capiva di non essere la sola con questi problemi, e che questi nascono dalla pressione sociale. Capivano che con il marito si poteva e si doveva negoziare. Passaggio decisivo, perché se una donna deve rimuovere questa ambizione, soffre, poi arriva al rancore (in azienda e a casa) difficile da gestire.   Dopo questi passaggi siamo arrivate al punto cruciale: la gestione del potere. Le donne, pur avendo un’ambizione di carriera, tendono a non lottare per i ruoli ‘di potere’: proprio quelli che l’azienda non proporrà mai, perché il potere bisogna andare a prenderselo, non ti arriva da qualcuno. Su questo abbiamo avuto meno risultati che sugli altri due aspetti. E’ più difficile. Oltre ai motivi di resistenza noti, abbiamo visto spesso che le donne temono l’esercizio del potere perché inevitabilmente genera aree di controdipendenza. Le donne hanno invece bisogno di sentirsi ‘amate’, di avere conferme. Anche questa è insicurezza. Per questo faticano ad accettare il conflitto, e non pensano che anche i conflitti si possono gestire.

Dobbiamo riprendere questo lavoro proprio da qui, facendo comunque leva sui risultati positivi raggiunti fino ad oggi (ad esempio le ultime nomine dirigenti hanno visto un 80% di candidate donne).

Marilena Ferri, HR & Organization Director, Autogrill (internazionale)

Emanuela Rustici, Change & People Affairs Supervisor, Autogrill

(pubblicata su Persone & Conoscenze di gennaio, con l’articolo di Luisa Pogliana Un passo in alto per tutte le donne)

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