Intervento di Isabella Covili Faggioli al Convegno Le donne il management la differenza
Fare il bene delle persone facendo il bene dell’azienda. E’ l’idea che ha sempre guidato il mio lavoro. Molte donne lo fanno molto bene, cercando di portare in azienda una diversa concezione del mondo del lavoro e del modo di essere manager. Perché il lavoro e la vita personale non possono essere compartimenti stagni e sono un tutt’uno che va gestito nella globalità. Perché la donna ha molto chiaro che non vuole più rinunciare a parte della vita per la sua realizzazione professionale. Da qui discende un modo diverso che hanno le donne di considerare e vivere il potere, l’organizzazione e l’azienda. E’ un modo diverso di vedere il lavoro per sé e per gli altri, una rivisitazione del mondo del lavoro che porta a mettere in discussione le regole e le procedure praticate per anni.
Cambiare le regole si può fare anche con un comportamento singolo, in un’occasione, facendo in modo che questo diventi prassi. Il micro che diventa macro perché cresce e si fa riconoscere come nuova soluzione. Sembra banale ed invece è solo semplice, perché la semplicità non è mai banale. Può diventare la pietra angolare su cui si potrebbero costruire manuali di organizzazione. Ma invece restano soluzioni praticate, che hanno portato come risultato un modo diverso di intendere il potere e che servono per continuare a costruire modificando e personalizzando ogni volta.
Noi non presentiamo delle best practises, noi vogliamo condividere i fatti, quelli che hanno portato cambiamenti in meglio nella nostra vita lavorativa, quelli per cui abbiamo avuto soddisfazioni e che ci sembra abbiamo portato un nuovo modo di gestire il lavoro, di governare il lavoro. E governare è quello che le donne fanno da sempre. E allora, mettere a fattor comune le esperienze è un modo per condividere i successi, che ognuno poi interiorizza e poi magari mette in pratica adattandoli alla propria realtà. Siamo nella situazione in cui i comportamenti agiti creano una teoria e non più la teoria che impone comportamenti. Anche questa sembra banalità, ma è esattamente il capovolgimento delle regole sempre seguite in azienda.
Le donne che scelgono di assumere ruoli decisionali in azienda hanno una forte motivazione personale nel farlo, non sono obbligate da pressioni esterne perché da lì passa il riconoscimento sociale e la loro autostima. E vogliono poter non rinunciare alla famiglia e vogliono poter godere della vita nella sua interezza. Per fare questo molte volte cercano un modo diverso di realizzarsi rompendo le regole aziendali che trovano. Altrimenti in quel gioco non ci stanno, se ne chiamano fuori. Per fare questo occorre avere forte il senso della prevalenza della persona sul ruolo. Ne deriva uno stile lontano dall’autorità di ruolo, ma autorevole, accogliente, attento alle persone, capaci di motivare per il raggiungimento degli obiettivi nella consapevolezza che se si sta meglio si lavora meglio. E se si lavora meglio si da nel lavoro tutto quello che si può, si porta tutto il valore aggiunto possibile. E se si porta questo, l’azienda cresce. Non stiamo parlando di filantropia, stiamo parlando di business, perché le donne sono molto capaci di leggere e far quadrare i numeri.
Voglio provare a mostrare tutto questo attraverso un solo episodio, che ho raccontato nel libro Microsoluzioni.
Mi manca l’ispirazione per questa relazione che dovrebbe spiegare agli americani della casa madre come sono diverse le leggi sul lavoro in Italia. E spiegare al mio grande capo perché loro (i dipendenti) possono andare via quando vogliono ed io non li posso licenziare quanto l’azienda vuole. Devo anche spiegare perché noi dobbiamo assumere una quota di lavoratori che vengono da una lista speciale chiamata ‘invalidi’ .
Arnaldo era un avviato dalla lista invalidi che mi torna in mente. Era un operaio. Era anche un etilista ed in quella fabbrica noi producevamo liquori. Ma lui ora era guarito e voleva lavorare. Come mettere un topo in una fabbrica di formaggio. Ma era sempre sorridente e contento. E sempre in ritardo. La sera la corriera portava i dipendenti in città e lui faceva quasi sempre aspettare tutti perché non era pronto. Si doveva cambiare e fare bello perché arrivato in città andava a passeggiare per trovare moglie.
Era venuto anche in ufficio a parlare con mio marito. Mio marito era un mio collega, aveva la scrivania non lontana dalla mia. Ed allora lui era andato da mio marito, che non si occupava di personale, e gli aveva chiesto di potergli parlare. Mio marito era una persona gentile con tutti i dipendenti. Ma era rimasto un po’ stupito quando Arnaldo gli aveva chiesto come aveva fatto a trovarmi. Proprio così aveva detto “a trovarmi”. Perché lui voleva una ragazza come me (non proprio come me, aveva detto, anche meno, ma circa) perché così si sarebbe sistemato e sarebbe diventato migliore. Ora nessun dipendente potrebbe fare una domanda così, non lavoro più con mio marito. Ma pensando ad Arnaldo mi prende una grande tenerezza. E mi viene difficile spiegare a quei signori cosa significa dare un lavoro ad un invalido.
E penso anche all’altro, quello più piccolo, che soffriva di crisi epilettiche e che cadeva in terra con la scopa in mano. Non la lasciava per tutta la crisi, le sue colleghe guardavano che non si fosse fatto male, poi quando si riprendeva gli davano un po’ di acqua e lui ricominciava a pulire il pavimento.
Sono passati 30 anni da quando sono uscita da quell’azienda e lui mi telefona ancora ogni tanto per raccontarmi della sua casa al mare e del fratello che si prende cura di lui. Non riesco mai ad accorciare le telefonate, ma con il cordless non è più un problema, si può ascoltare con attenzione facendo anche altro.
A quelle persone è stata data una possibilità.
Ecco cosa dirò nella relazione, che a quei signori è stata data una possibilità, quella che qualcuno gli ha tolto quando sono nati o dopo. So che capiranno. Dovrò spiegare che è la legge che ce lo impone. Ma so anche che lo farebbero anche loro senza essere obbligati se avessero conosciuto Arnaldo e Giuseppe.
Isabella Covili Faggioli,è AD di IC management, Vicepresidente nazionale AIDP – Autrice di Microsoluzioni. Piccole storie esemplari di vita d’azienda, Guerini e Associati, 2010). Il convegno si è tenuto a Milano il 28 novembre 2013