Un dibattito alla Libreria delle Donne: Dire ascoltare contrattare. Dare forza alle relazioni tra donne.Fare politica, contendere terreno al potere

Il Gruppo Lavoro della Libreria delle donne di Milano ti invita
sabato 22 maggio – ore 17.30, Libreria delle donne, Via Pietro Calvi 29. Milano
Dire ascoltare contrattare. Dare forza alle relazioni tra donne. Fare politica, contendere terreno al potere
Partendo dalle diverse esperienze e dai pensieri di ognuna/o, confrontiamoci in libertà sulle forme politiche di aggregazione che oggi ci sembrano utili e desiderabili per dare forza alla nostra volontà di cambiare il lavoro, cambiare la politica.

In occasione di questo incontro mi è stato chiesto un contributo, a partire dalle mie esperienze e riflessioni raccolte nel libro ‘Donne senza guscio’. Ho preparato alcuni appunti, che ripartono da un incontro precedente da cui è scaturito questo.

Il cosa e il come

L’incontro di questa sera propone di ripartire da dove eravamo rimaste nell’incontro precedente, dedicato all’organizzazione del lavoro. Su questo c’era una certa chiarezza e convergenza di obiettivi, ma la domanda alla fine era: come fare per raggiungerli? Il cosa vogliamo è chiaro, il come fare per raggiungerlo è invece ampiamente irrisolto. Il nodo da affrontare, dunque, sono gli strumenti, le pratiche possibili, la questione di come rapportarsi con il potere.
E si era detto: però qualcosa si muove tra le donne, proviamo a vedere. Ripartiamo da qui.
Nessuno può avere soluzioni bell’e pronte, pratiche risolutive, ma ci possono aiutare alcune considerazioni.
1-Il lavoro delle donne è attraversato da molte cose comuni, ma i lavori per le donne sono anche diversi.
Il lavoro è ormai una dimensione imprescindibile nella vita delle donne, e c’è una consapevolezza diffusa della differenza di genere e di quello che comporta anche nel lavoro. Per questo può costituire il nuovo punto di incontro delle donne, per provocare cambiamenti. Ma al tempo stesso il lavoro ci segmenta, perché le diverse collocazioni comportano problematiche diverse, analisi e soluzioni differenziate. Per cui lavorare sullo specifico, in questo caso, non significa frammentare, ma affinare gli strumenti.
Io parlo dall’ottica della mia esperienza, le donne in posizioni direttive o qualificate in azienda.
Porto quello su cui ho ragionato con un lavoro fatto recentemente (il mio libro Donne senza guscio), e quello che ho visto e discusso in circa dieci mesi di incontri e seminari sviluppatisi attorno al libro in giro per l’Italia. Dentro questa esperienza ci sono, appunto, cose che riguardano il lavoro delle donne in generale, e altre specifiche all’ambito che ho considerato.
Ma tutte hanno hanno un nodo comune, quello del rapporto con il potere, specificamente il potere in azienda. Vediamo perché.
2- A fronte di una chiarezza di obiettivi, che si concentrano sull’organizzazione del lavoro, è molto difficile ottenerli, nonostante la loro praticabilità.
Ricordiamo infatti che le donne non chiedono vantaggi costosi orientati al ‘lavorare meno’, ma condizioni per poter lavorare bene pur avendo un progetto di vita intero. Dietro questo tipo di richieste -cosa importante per noi, ma dovrebbe esserlo anche per le aziende- c’è una motivazione nuova e forte verso il lavoro. Le donne amano il loro lavoro, perché concepito come strumento di autorealizzazione, non da perseguire a scapito del resto della vita, ma imprescindibile. Cercano quindi i modi per per poter avere tutto, non per liberarsi per quanto possibile dal lavoro. Per questo le richieste sono praticabili e ragionevoli, tanto che le politiche avviate su questo terreno da alcune aziende più innovative si muovono proprio in questa direzione.
Ma allora, perché questa resistenza a cambiare l’organizzazione del lavoro?
3- Occorre un ulteriore passo di chiarezza su cos’è l’organizzazione del lavoro, per spiegare, almeno in parte, perché sia così difficile ottenere cambiamenti a questo livello.
L’organizzazione del lavoro non è solo uno strumento tecnico per fare funzionare l’azienda. L’organizzazione serve in buona parte al vertice aziendale per mantenere il suo potere. Risponde al modello di pianificazione e controllo, con cui il top management esercita il potere. Modello che si attua con modalità, riti e rigidità. Ovvero, una volta definito il modello di funzionamento, tutto ciò che non è contemplato non si può fare (per esempio: non si può rendere flessibile l’orario di lavoro, anche se questo non comporta nessun incremento di costi, oppure gli aspetti di diversità portati dalle donne non possono essere accolti). Si può dire che è un modello tipicamente maschile, dove si definisce il mondo aziendale attraverso un’astrazione dove tutto è stato messo in posto definito, e a quella si fa riferimento e ci si attiene, fino a non vedere più la realtà che si ha sotto gli occhi. Perché è così che si pensa di controllare tutto, che nulla possa sfuggire: un’anomalia può mettere in discussione il modello. E’ questo il nodo per tutte.
Sono questi meccanismi che le donne rifiutano, e con le loro richieste improntate alla concretezza svelano e vanno a toccare proprio il funzionamento del potere. Le resistenze al cambiamento organizzativo si radicano qui, ben più che su problemi di costi ed efficienza.
Se pensiamo che le richieste delle donne siano limitate a soluzioni pratiche (per esempio, della cosiddetta conciliazione), sbagliamo. Secondo me le donne stanno mettendo in questione chi, come e con quali obiettivi gestisce il potere in azienda.
Per questo il nodo inevitabile è il rapporto con il potere in azienda, che va ripreso ben oltre questa schematica sintesi.
4- E veniamo alle pratiche. Innanzitutto va detto che esistono due livelli su cui possiamo agire per il cambiamento.
Quello di ognuna rispetto al suo contesto e situazione, che ogni giorno si deve affrontare subito e nella sua specificità, e quindi richiede certi strumenti ed è molto legato all’individuo.
E quello collettivo, dove si pongono le questioni strategiche per tutte, che richiedono un confronto istituzionale con le controparti (le aziende e le loro associazioni, il governo), con strumenti diversi.
Ma a questo livello si arriva se si parte da una consapevolezza e da un riflessione maturata nella realtà quotidiana. E’ quello che ho visto innanzitutto nelle pratiche delle donne che hanno partecipato al libro. Quello che ho trovato molto importante, è che anche a livello individuale qui le donne mettono in atto tentativi di cambiamento delle regole aziendali, di quelle regole in cui non si ritrovano rispetto al modello manageriale e organizzativo dominante nelle aziende.
C’è una grande assunzione di responsabilità individuale in questo orientamento a cambiare. Senza vittimismo e rivendicazionismo, senza deleghe e senza alibi, queste donne agiscono qui ed ora. E questo lavoro diffuso, costante e coraggioso può portare a cambiare qualcosa: la cultura aziendale non è una cosa data a cui noi siamo estranee, qualunque cosa facciamo o non facciamo la influenza.
E’ una dimensione imprescindibile, anche se resta legata alla volontà e capacità della persona.
Se proviamo a guardare agli strumenti collettivi, io ho visto due realtà molto diverse.
Intorno alla questione del lavoro sono sorte moltissime micro organizzazioni di donne, anche solo comunità virtuali. Ma spesso esprimono interessi e bisogni, più che delineare pratiche: manca ampiezza di analisi e di visione che orienti il fare.
Più rilevanti sono invece le varie forme in cui le donne si associano negli ambiti professionali. Hanno costituito network di tipo professionale, hanno creato per sé ambiti specifici all’interno di di sindacati e associazioni professionali, manageriali e anche imprenditoriali (le buone prassi messe in atto nelle aziende medio-piccole da donne imprenditrici sono numerose, e da conoscere). Sono forme organizzative che hanno una loro efficacia, e possono portare proposte di cambiamento agli interlocutori istituzionali, la controparte con cui negoziare. Anche se magari con una modalità, una parzialità di obiettivi e a volte un’ideologia in cui non ci possiamo ritrovare pienamente. Però credo che tutto ciò che si muove per aprire spazi alle donne vada bene, spetta poi alle donne come usare questi spazi.
Io penso che sia questo complesso di elementi di pressione che hanno messo in discussione -in modo abbastanza diffuso- che ci sia un solo modo di concepire e di realizzare il lavoro e il funzionamento di un’azienda. Oggi di questo di discute dappertutto, anche se i risultati sono ancora minimi. Ma se qualcosa ha cominciato a cambiare, è cambiato a partire dal basso. Il cambiamento non viene mai dall’alto, se non costretto da un bisogno, da una volontà, da una forza.
5- Questo quadro, come ho detto, indica come questione centrale il rapporto con il potere aziendale.
Anche su questo tra le donne si si trova una forte convergenza, ma in questo caso problematica e irrisolta. C’è una difficoltà diffusa nel rapportarsi al potere aziendale. Manchiamo di un’analisi adeguata dei meccanismi del potere, del perché sostanzialmente tendiamo a chiamarcene fuori. Manchiamo di chiarezza su cosa realmente vogliamo e sui nostri possibili strumenti.
Diciamo che le donne non sanno gestire il potere perché forse non lo vogliono, perché hanno una diversa concezione del potere. Questo ci porta ad un diverso modo di concepire il lavoro e il modo di lavorare, ma non porta di per sé ad ottenere i nostri obiettivi, a cambiare la nostra condizione. Il potere è necessario per cambiare, ma le donne dichiarano e praticano una sostanziale estraneità, con il risultato -consapevole- che così lo si lascia agire sia a livello individuale sia a livello collettivo.
Qui si pone il problema degli spazi che le donne possono prendere nelle aziende. Degli strumenti di potere: come funzionano quelli attuali, con quali meccanismi? Cosa facciamo noi? Come diversamente possiamo costruire un nostro potere? E’ su questo che bisogna lavorare senza rimandi.

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