Il potere cambia tutti. Ci ricordiamo di Spinrad che in pieno 1969 pubblica il libro Jack Barron Show, dove un ideologo del ’68 fondatore di un partito ribelle finisce per condurre un programma televisivo con milioni di spettatori. Da lì non esce più perché, dice, il potere è come avere la scimmia sulla spalla. Il potere come droga. Perché non dovrebbe corrompere anche le donne? Ci imbattiamo sempre in quel luogo comune per cui le donne che raggiungono il potere sono peggio degli uomini. Ma la ragione c’è: chi ha il potere procede per cooptazione e sceglie gli uguali a sé. Così in azienda il meccanismo finora prevalente quando si apre per una donna l’accesso ai luoghi del potere sono quelle disposte ad assimilarsi che vengono selezionate. Per questo molte manager, pur capaci e con idee innovative, tendono a tenersi fuori dai ruoli decisionali più alti, perché il potere è maschile, si manifesta spesso come dominio e controllo, arbitrio e autoreferenzialità, con logiche in cui le donne non si ritrovano. E’ un aut aut tra adattarsi o tenersi fuori, ma in ogni caso si tengono le idee diverse, innovative fuori da dove le politiche aziendali si fanno. Eppure qualcosa è successo.
Molte sono uscite da questa trappola, hanno cominciato ad assumere ruoli decisionali alti senza adeguarsi alla cultura che vi domina. Si sono fondate sulla propria visione: una diversa concezione del potere, dell’azienda, del ruolo di manager. Partendo dalla loro differenza soggettiva hanno fatto cose nuove, lontane dai modelli usuali, da certi principi del management quando si mostrano inefficaci, insufficienti, controproducenti. E hanno avuto effetti positivi sull’organizzazione.
Non possiamo qui raccontare la ricchezza di queste esperienze (su cui abbiamo ragionato nel libro Le donne il management la differenza). Accenniamo solo a qualche esempio. Abbiamo visto passare dalla concezione della maternità come problema e come costo, alla necessità di preservare in questo passaggio di vita il valore del lavoro delle donne, per l’azienda oltre che per le donne stesse. O cambiare un’organizzazione del lavoro tradizionalmente fondata sul controllo di chi lavora con una che fa crescere l’azienda costruendo nvece una responsabilità diffusa. Dal profitto costruito sulla compressione del lavoro si è passate ad una ripresa produttiva di un’azienda in crisi attraverso la valorizzazione e la responsabilizzazione di chi lavora. Sono state riorganizzate le strutture tagliando la catena gerarchica, fondandosi invece sul lavoro di gruppo, e premiando i risultati ottenuti in collaborazione.
Da queste varie esperienze vediamo emergere aspetti comuni di un modo diverso di essere leader: vedere in modo critico i modelli abituali, cercare strade nuove più adatte alla realtà, far crescere autonomia e competenza delle persone, distribuire responsabilità invece di accentrare il potere, remunerare tutti perché tutti fanno i destini dell’azienda. C’è dentro a questo una diversa idea dell’azienda, vista come una costruzione di persone, non come una costruzione di potere. Un luogo in cui convergono soggetti con interessi diversi, ma per i quali è possibile, necessario, trovare un punto di incontro, tenendo conto di tutti perché tutti contribuiscono a creare valore. Questo ci porta al punto essenziale.
Agire come come leader fuori dalle logiche del potere non è riducibile solo ad una questione etica. Significa governare l’azienda in tutti i suoi aspetti in un modo che porta a risultati migliori. Se così non fosse, le donne a cui abbiamo accennato per le loro pratiche ‘sconvolgenti’ non sarebbero più in quelle aziende e in quei ruoli. E’ questo che determina il cambiamento: i sistemi tendono a riprodursi, ma se gli si mostrano modalità più vantaggiose le adottano. Questo può avvenire proprio perché la logica del potere, fondato sul controllo e l’autoreferenzialità, è per necessità conservatrice, tarpa gli sviluppi futuri, perché mette in subordine anche la buona gestione e lo sviluppo aziendale rispetto alla conservazione del proprio potere. E’ questa logica distorsiva che molte donne stanno cambiando. Mostrando che è possibile passare da una cultura di potere ad una cultura di governo. Diciamo governo perché è una parola che esprime un orientamento ad agire per il bene di tutti operando le mediazioni necessarie.
Sì, le donne possono cambiare il potere. Con una condizione essenziale. Non si tratta solo di prendere qualche posto in più nei luoghi decisionali alti comunque: una maggiore presenza di donne non modifica di per sé la cultura (anche se forzature di legge sono necessarie e utili quando la cultura non cambia da sola). Quello che conta è portare il proprio punto di vista differente nei luoghi decisionali, mettendo in discussione i modelli prevalenti e le loro regole. Non è facile, e si pagano anche dei prezzi notevoli. Ma siamo convinte che si può, e che sia necessario provarci.
Prendiamo un incoraggiamento da un altro romanzo, anzi da una scena del film tratto da Il signore degli anelli, la battaglia finale. I buoni sono pressoché spacciati, il numero dei cattivi è esorbitante, le possibilità di vittoria praticamente nulle. Uno spettro che cavalca un mostro alato si aggira e colpisce gli uomini. Il mostro è invincibile: secondo la profezia nessun uomo può ucciderlo. Finché un cavaliere si batte con lui e gli affonda la spada nel corpo, mortalmente. Moribondo, il mostro lo guarda stupefatto: “Nessun uomo può battermi”, dice. Il cavaliere si toglie l’elmo e una cascata di capelli rossi cade sull’armatura : “Nessun uomo può batterti” -risponde- “ma io sono una donna”.
Intervento di Luisa Pogliana alla tavola rotonda “Le donne cambiano il potere o il potere cambia le donne?” 8 aprile, Torino, Circolo dei Lettori, in occasione dello spettacolo Divagazioni sul potere del gruppo ‘Non mi arrendo’, promosso da SPI CGIL