UN PASSO IN ALTO: COM’E’ ANDATO L’INCONTRO A MILANO? Una sintesi, e le nostre parole

Un passo in alto a Milano, un anno fa

E’ stato utile e coinvolgente, a volte sorprendente, e abbiamo anche riso un po’. Convinte dell’importanza di entrare nei livelli decisionali alti, dove è possibile cambiare la cultura aziendale ora solo maschile e misogina, ne abbiamo discusso sotto vari aspetti. Cercando possibilità nell’esperienza di donne che in questi ruoli ci sono già e di tutte.di donne che in questi ruoli ci sono già. Qui trovate un ‘rapporto’ sui temi emersi e le nostre riflessioni, con le nostre parole: ci sono brani degli interventi relativi a quei temi.  Sono vivaci, vitali, propositivi, squarci di vita reale, con il piacere di costruire insieme. Così abbiamo deciso di continuare: possiamo sviluppare i punti che interessano, aggiungere commenti, interventi, esperienze,  politiche aziendali mirate di cui si è a conoscenza.  Abbiamo diffuso questi testi via e-mail a chi ha partecipato o è comunque interessato. Chi vuole  farne parte può comunicarlo tramite questo sito Proviamo a discutere a distanza. A formare una rete che ragiona insieme, prende forza e si mette in grado di andare avanti su questa strada.

I temi che abbiamo discusso 

Le ragioni di questa proposta .    Oggi c’è una consapevolezza diffusa delle prevaricazioni che troviamo nei luoghi di lavoro: l’incredibile gap retributivo e di carriera, che crea un abisso tra la ricchezza delle donne e degli uomini. Il lavoro delle donne vale sempre meno di quello degli uomini, e questo lo decidono gli uomini, perché stanno in ruoli dove possono imporre le loro regole. Per contrastare queste discriminazioni non basta che venga fatto un po’ di spazio alle donne. Infatti la legge che vincola i CDA ad almeno un terzo di componenti donne ha raggiunto l’obiettivo, ma le donne sono entrate soprattutto nei ruoli senza potere di indirizzo. Mentre il top management -dove effettivamente si decidono le politiche aziendali- rimane territorio degli uomini. E’ in gioco il ricambio delle élite, che si riproducono uguali a se stesse, e dunque lì le donne non sono ammesse. Cosi continua a riprodursi una cultura maschile e spesso misogina. Bisogna andare alla radice, cambiare la cultura e la natura di questo potere di sopraffazione che oggi domina. Cambiarla là dove si forma e agisce: i vertici aziendali. Bisogna che più donne entrino in quei ruoli portando la loro diversa concezione del potere.Usando la discrezionalità decisionale che quei ruoli comportano possiamo incidere sul lavoro di tutte le donne, e di tutti. Parte del cambiamento sta anche nelle nostre mani: liberiamo la nostra ambizione dai freni dentro di noi, e guardiamo come manager arrivate ai livelli più alti aprono questa possibilità ad altre donne con politiche aziendali mirate.

Donne ai vertici, ma in quali ruoli?    Nei livelli alti (il top management come il CDA) non tutti i ruoli comportano lo stesso potere. Ci sono vari strati, pesi diversi. I ruoli di staff -più spesso ricoperti da donne- contano meno di quelli produttivi. Sono concepiti come utile servizio per chi dirige le aree che portano profitti (gli uomini, appunto). A distanza di decenni, il noto ‘ghetto di velluto’ è ancora diffuso. Il peso e gli scopi di certi ruoli, però, cambia nei diversi contesti. E può dipendere anche da come noi li prendiamo. Chi li ricopre può ridefinirli, provare a negoziare una più ampia definizione del ruolo, che pesi di più sulle decisioni dell’azienda.

Rompere il circolo vizioso.  Anche questa distribuzione sessuale dei poteri è espressione della cultura dei vertici: se il top management è solo maschile o lo è nei ruoli che contano, il potere resta di dominio verso le donne. Ma se desideriamo avere la libertà di agire a modo nostro, il potere bisogna prenderlo, nessuno lo regala. Nemmeno le eventuali ‘quote’ legislative o organizzative (come si propongono, per esempio, alcune aziende). Avere accesso a un ruolo ‘di potere’ per rispettare questi vincoli può indebolire la posizione: è una concessione da parte di qualcuno, non è una posizione conquistata. Dobbiamo muoverci noi.

Qualcosa che ci frena . Ci sono resistenze che già conosciamo, conseguenze della cultura patriarcale in cui siamo cresciute. Vogliamo essere perfette, non ci sentiamo all’altezza, o abbastanza preparate. Perché il modello continua a essere l’uomo e noi siamo differenti. O perché le bambine studiano di più con risultati migliori dei maschi, e continuiamo a riferirci a questo approccio, che però nel lavoro non funziona necessariamente. Non ci concediamo di ambire a una situazione in cui possiamo avere ‘potere’, cioè la libertà di agire, perché l’ambizione femminile è marchiata come negativa, oggetto di pressione sociale rispetto ai ruoli familiari ancora ritenuti prioritari per una donna. Così può succedere che non ci facciamo avanti, non cogliamo le occasioni che emergono. Dobbiamo dirci chiaramente i nostri obiettivi, i nostri desideri, e fare progetti per realizzarli.

Il conflitto può essere gestito .  Ci sono resistenze di cui siamo meno consapevoli, o sono più difficili da affrontare. C’è il bisogno di piacere a tutti: le bambine vengono educate a ‘piacere’, ad essere ‘amabili’ (aggettivo che si usa solo per le donne). Ma esercitare il potere crea inevitabilmente scontento in qualcuno, mentre noi cerchiamo l’approvazione. Non si può e non si deve accontentare tutti, soprattutto se le nostre decisioni sono dirompenti rispetto alle consuetudini. Decidiamo la cosa giusta per noi. Il dissenso non ci indebolisce, e si può anche gestire con le relazioni. In questi freni pesa anche un positivo senso di responsabilità, quando la decisione tocca la vita di altri: ma è meglio scegliere la soluzione migliore possibile, anche se insoddisfacente, che lasciarla ad altri (uomini) meno attenti alle conseguenze. Più complicati sono i conflitti con gli uomini al più alto livello di potere, che agiscono con logiche che non sono le nostre: non conosciamo i codici del potere, e gli uomini non conoscono i nostri, o li ritengono sbagliati o scomodi. Così non capiamo e non ci facciamo capire. E’ il problema più sentito, perché per agire bisogna capire il meccanismo e tenerne conto, senza per questo adattarvisi. In questo, lo scambio di analisi tra donne è stato, ed è, di grande aiuto.

Consapevoli e determinate, piacere e libertà .  Prendere consapevolezza di questi grovigli serve già a dipanarli. Cambia l’ottica con cui guardiamo questi fenomeni: il ‘problema personale’ si rivela un’imposizione maschile su come dovremmo (ma non vogliamo) essere nel lavoro. Più consapevolezza permette più determinazione a provare, sapendo dal proprio passato e da altre donne che il tratto più alto del percorso è più difficile, ma noi ci arriviamo più forti dell’esperienza che abbiamo alle spalle. Possiamo fidarci di noi stesse. Sappiamo che si corrono dei rischi ma il rischio peggiore è restare ferme e insoddisfatte. Nel lavoro quotidiano non esistono standard definiti su come perseguire questo obiettivo. Ognuna agisce secondo la sua soggettività e il contesto, cerca il suo modo, scelte politiche, strategie e tattiche (comprese le alleanze, su cui concordano gli uomini presenti). Da questi vissuti emergono però indicazioni che aiutano nell’agire. Assumerci ruoli di rottura, creare discontinuità nelle decisioni e nei comportamenti. Non rispondere alle aspettative di ruolo maschili. Agire con trasparenza -‘dire la verità’- non con sotterfugi. Sottrarsi alle lotte di potere dove l’azienda scompare rispetto all’interesse personale: fare l’interesse dell’azienda è inattaccabileE c’è anche la contropartita di questa fatica: c’è il piacere di muoversi negli spazi sempre preclusi senza sottostare a come quello spazio è stato definito. E il piacere è strettamente legato alla libertà. Quello che facciamo, lo facciamo prima di tutto per noi, perché lo desideriamo. E così riusciamo a cambiare le cose per tutte e tutti.

Top manager che sostengono altre donne . Indicazioni e incoraggiamento vengono da donne che, arrivate nel top management, hanno realizzato politiche per sostenere le ambizioni di altre donne. Facendo scelte fuori dai pregiudizi e mostrandone i risultati. O con vasti piani aziendali che toccano anche gli uomini ai vertici. Va colto un aspetto in queste politiche. Mentre la formazione alla cosiddetta leadership femminile punta a ‘rafforzare’ le donne (empowerment) per assumere i modelli dominanti, questi progetti mettono le donne in condizioni di diventare consapevoli delle loro ambizioni e difficoltà, di definire cosa e come vogliono diventare. Dunque è possibile fare politiche aziendali per ampliare gli spazi di libertà delle donne nel lavoro. E’ possibile perché donne entrate nei livelli decisionali hanno seguito la propria visione differente. Manager consapevoli ai vertici possono dare possibilità ad altre, aprire varchi nella cultura maschile. Non va dimenticato, però, che questa possibilità si fonda sull’autorità di queste manager nello svolgere il proprio ruolo aziendale complessivo. Sviluppare le carriere delle donne non è separabile da tutto ciò che quella posizione comporta. Fare politiche per sostenere il desiderio delle donne dipende da tutto quello che fai nel tuo ruolo, come lo eserciti.

Capire insieme il vissuto è un lavoro politico.  La relazione che si stabilisce tra donne è un sostegno forte, perché spesso pesa la solitudine. Se nei vertici ci sono solo (o quasi) uomini, molte sentono la mancanza di uno scambio con altre donne. (Ne troviamo una conferma insolita nelle sensazioni di uno dei pochi uomini manager presenti all’incontro). Ma si può non essere sole, cercando il confronto con altre donne, dentro o fuori dall’azienda. Scambiarsi esperienze e riflettere insieme serve a capire di più noi stesse, il contesto, come muoversi. Sono strumenti per agire nel quotidiano. Relazioni essenziali. 

Una classe dirigente di donne .  Cambiare la natura del potere non è un obiettivo solo per le manager. Riguarda tutte le donne che sono dirigenti, in ogni tipo di organizzazione, pur in ambiti diversi. Questo hanno detto Michela Spera, sindacalista dirigente nazionale FIOM, e Giordana Masotto che -con esperienza in ruoli direttivi aziendali- ha sviluppato il pensiero della differenza sessuale rispetto al lavoro. Infatti con Luisa Pogliana, stanno facendo un lavoro su ciò che accomuna manager e sindacaliste. Michela ha invitato Giordana e Luisa a un’assemblea di delegate nel congresso nazionale Fiom e Luisa ha invitato Giordana e Michela a questo incontro tra manager. Soggetti diversi si sono incontrati nel riconoscere che nel lavoro, in ogni organizzazione, tutte ci scontriamo con una cultura maschile e misogina, e insieme possiamo mettere in campo più forza per cambiarla. Due strade fin qui parallele, in questo contesto si avvicinano. 

Il senso del passo in alto . Questo incontro sembra aver dato forma a una idea che stava maturando: non solo l’accesso ai vertici di più donne, ma di donne consapevoli che occorre riconfigurare i ruoli ‘di potere’, e determinate a cambiare la natura di questo potere di sopraffazione. Un cambio di civiltà. Che vediamo messo in atto da donne in tutto il mondo, ognuna muovendosi sul suo terreno ma tutte nella stessa direzione. Una realtà che si afferma, potente, positiva, costruttiva. In questa realtà ci siamo anche noi, con il nostro passo in alto. Ne abbiamo messo a fuoco la portata nell’intervento finale:  “Il passo in alto non è tanto di andare a prendere delle posizioni e vedere come starci a nostro agio. E’ molto più ambizioso, è reinventarsi le posizioni: voglio fare un passo in alto per poter mettere in discussione la natura di quei ruoli. Quello che ci dà la forza si chiamerà anche ambizione, ma è il desiderio: ho il desiderio di rimescolare le carte. In questo senso non è questione che se ci sono più donne ai vertici il business funziona meglio per effetto della diversity, né di diversi stili di leadership. E’ più in alto di così. Con più libertà mentale, più desiderio, più fiducia. Le donne stanno nel mondo ed è il mondo che deve cambiare perché le donne ci stiano bene. Un cambio abbastanza radicale, e noi siamo qui a capire fin dove ci vogliamo spingere”.

Gli interventi, le nostre parole

Le ragioni di questa proposta .   “Oggi c’è una consapevolezza diffusa delle prevaricazioni che troviamo nei luoghi di lavoro: l’incredibile gap retributivo e di carriera, che crea un abisso tra la ricchezza delle donne e degli uomini. Il lavoro delle donne vale sempre meno di quello degli uomini, e questo lo decidono gli uomini, perché stanno in ruoli dove possono imporre le loro regole. Per contrastare queste discriminazioni non basta che venga fatto un po’ di spazio alle donne. Infatti la legge che vincola i CDA ad almeno un terzo di componenti donne ha raggiunto l’obiettivo, ma le donne sono entrate soprattutto nei ruoli senza potere di indirizzo.Mentre il top management -dove effettivamente si decidono le politiche aziendali- rimane territorio degli uomini. E’ in gioco il ricambio delle élite -oggi maschili- che si riproducono uguali a se stesse. Le donne non sono ammesse, cosi continua a riprodursi una cultura maschile e spesso misogina. Bisogna cambiare la cultura e la natura di questo potere di sopraffazione, là dove si forma e agisce: i vertici aziendali. Bisogna che più donne entrino in quei ruoli portando la loro diversa concezione del potere. Perché lì possiamo incidere sul lavoro di tutte le donne, e di tutti.Parte del cambiamento sta anche nelle nostre mani: liberiamo la nostra ambizione dai freni dentro di noi, guardiamo come manager arrivate ai livelli più alti aprono questa possibilità ad altre donne con politiche aziendali mirate”.

Donne ai vertici, ma in quali ruoli?    Nei CDA se le donne sono nei ruoli con potere decisionale possono fare la differenza, negli altri ruoli no. E nel top management il ruolo più frequente per le donne è l’HR (Direzione del Personale) e poi altre posizioni di staff. Pochissime le donne nei ruoli di Direttore Generale o responsabili di aree di business o degli impianti. Il potere decisionale è proporzionato a quanto il ruolo incide sul business. Anche se essere HR è un ruolo di potere nel senso che incide sulla vita del personale, non incide direttamente sul business. Una collega a capo dello stabilimento ha fatto la differenza più di me e delle colleghe della comunicazione e del legale, che facciamo parte del top management come responsabili di staff. Il vero salto è essere ai vertici ma con ruoli di business”.   Le donne nei livelli alti sono amate se stanno in ruoli di staff, dove fanno il lavoro che serve agli altri -angeli del focolare aziendale-. Ma quando vogliono entrare in posizioni di line entrano in competizione con uomini e la lotta si fa dura”.  Sono entrata nel CDA della mia azienda, e mi è stato detto che si aspettavano una mia presenza silente. Io l’ho presa seriamente, arrivavo preparata, ho fatto domande, e con questo modo di agire ho cambiato un po’ la situazione: bisogna darci la libertà di lavorare a modo nostro”.  Romiti era direttore del personale ma decideva quello che succedeva alla Fiat: il potere se l’è preso, non è che qualcuno ha detto che il ‘Personale’ è potente. Anche la Comunicazione può essere un semplice servizio o un centro di forte potere”.  “Molti credono che l’HR sia una professione da donne perché c’è la cura delle persone, ma quando si tratta di un’azienda importante ci mettono a capo un uomo. HR apicali donne ce ne sono poche”.  Abbiamo meno problemi a mettere in discussione quello che abbiamo, il nostro ruolo e come viene inteso. Abbiamo meno da perdere, per questo siamo più libere, facciamo quello che vogliamo più di quello che dobbiamo secondo le regole del ruolo”.

Rompere il circolo vizioso  Questo è il circolo vizioso. Se le donne non ci sono ai vertici non incidono sulla cultura aziendale. E se non ci candidiamo alle posizioni di potere non siamo presenti dove possiamo fare la differenza. E non essendoci non possiamo creare le condizioni per esserci”.  Se il potere delle donne è uno spazio concesso perché ci sono delle percentuali che devono essere coperte, possiamo usarlo, ma non è libertà, c’è qualcuno che decide per noi”. Il punto cruciale è quando si arriva alla gestione del potere. Il potere se te lo danno non è potere, te lo devi andare a prendere. Gli uomini sanno che a certi tavoli si devono sedere, e ci vanno, non aspettano l’invito, l’hanno sempre fatto. Ma le donne aspettano di essere viste e colte come un fiorellino, ai limiti dell’ingenuità”.  Bisogna avere il coraggio di candidarsi, di mostrarsi, di esplicitare che ci vogliamo provare, superando l’imbarazzo e la voglia di rifugiarsi in un cantuccio rassicurante che poi tanto ci starà stretto dopo un po’. Smettere di pensare: devono accorgersi di me, io lavoro bene, sta a ‘loro’ (di solito uomini) accorgersi del mio valore” “Noi non pensiamo: ‘io sono migliore di te, più capace, posso farlo meglio di te’. Non siamo determinate a prenderci un ruolo perché ciò richiede rabbia, lacrime, notti insonni e tempo tolto ai nostri affetti, al piacere di condividere un bel lavoro con gli altri”.

Qualcosa che ci frena . Se non so tutto alla perfezione non posso farlo, e si vede che penso di non saperlo fare (non riesco ad essere incisiva), e finisce che gli altri pensano che non lo sappia fare. Questo ritrarsi è un killer nel mondo del lavoro, dove il non candidarsi, il non esporsi, il non proporsi ci si ritorce contro”Se le donne vogliono essere perfette, ci sono dei motivi: uno dei meccanismi più crudeli che soffrono è essere messe in ridicolo dagli uomini soprattutto se sono isolate”Quando una donna ha chiaro di voler fare carriera spesso si creano problemi con i mariti, che facilmente , di fronte ad una possibilità di carriera delle mogli, hanno una crisi. E’ difficile dire al marito (e a una suocera, con i vicini che dicono: eh, ma viene sempre a casa tardi) che la mia ambizione non è stare a casa e andare a prendere i bambini, la mia ambizione -guarda un po’- è governare l’azienda. E l’ambizione di realizzarsi fa bene anche ai figli e al marito, se lui lo sa, reggi meglio alla pressione sui tuoi ruoli familiari”.  Nelle interviste di assessment le donne hanno avuto risultati migliori perché più brave o perché candidate più tardi degli uomini, quindi più mature. Ma alla domanda: cosa vuoi fare?, quasi tutte le donne hanno risposto ‘quello che vuole l’azienda’, mentre tutti gli uomini hanno detto cosa vogliono, senza limiti e anche se non valevano molto. Non si diventa AD se aspetti che l’incarico arrivi dall’azienda invece di proporti. Dillo cosa vuoi fare, dillo a te stessa e poi agli altri”

Il conflitto può essere gestito .  C’è il problema di avere consenso che è percepito come amore, invece di stabilire un rapporto strategico, che non è piacere a tutti”.  Temiamo di essere considerate stronze (‘le donne nei posti di potere sono peggiori degli uomini’: parole utilizzate per screditare), di essere giudicate, svilite (‘cosa si è messa in testa’)”.  ‘Non gli sono piaciuta’. Il consenso degli altri è importante ma se ricercato sempre e comunque può essere un inciampo, un’utopia. Si perdono energie per evitare il conflitto. Questa necessità di approvazione ci porta a tollerare con difficoltà di non piacere per una decisione impopolare. Ma tanto di decisioni che hanno il consenso di tutti non ce ne sono”.  Ho superato la paura quando mi sono detta che se mi prendo delle responsabilità devo decidere, non si può cercare di mediare con tutti. Bisogna scegliere se no si sta fermi”. Le donne affrontano i problemi nella loro complessità, gli uomini sono superficiali e spavaldi, perché hanno paura di apparire indecisi e deboli. Però l’attenzione alla complessità – che è molto positiva- può nascondere la paura di prendere decisioni. Avere la responsabilità della vita degli altri è pesante per le donne, c’è quasi un pudore, anche se poi gestiamo tutti i giorni situazioni pesanti per gli altri, ma almeno non abbiamo deciso noi. Così si lascia decidere gli altri: uomini”.  “Avere il coraggio di accettare il conflitto, di sbagliare e di non piacere. Io le cose le faccio. Se non piacciono, pazienza. Anche quello che fanno gli uomini non piace a tutti”.  Un deterrente verso le posizioni di potere è dover competere in un contesto in cui ci muoviamo malissimo, perché non conosciamo o non sappiamo interpretare i codici sui quali sono strutturati i rapporti di potere. E invece se vogliamo stare lì dobbiamo conoscerli, capirli. Significa essere consapevoli di dove ci si trova e muoversi in modo diverso. E’ la realtà, dobbiamo andarci dentro per cambiarla prima che cambi noi”.

Consapevoli e determinate, piacere e libertà . “Come sia possibile fare per riuscirci non è facile da dire, ma ragionare sul vissuto soggettivo è utile per reagire con responsabilità e non guidate da automatismi che replicano schemi pregressi”. Io ho una posizione di tipo tecnico di solito occupata da un uomo, ma ho rigirato la frittata. Mi sono data un ruolo politico: cambiare ottica, guardare alla mia posizione con i miei occhi di donna, sapendo che si tratta di un ruolo pensato per un uomo”. Dobbiamo fidarci di noi stesse, e spesso scopriamo che la realtà non è così minacciosa come credevamo. ricordiamoci quelle volte che abbiamo fatto cose che pensavamo di non saper fare, sorprendendo noi stesse. Di quando abbiamo superato i nostri timori e assunto una responsabilità più a

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