Uno scambio con Anna Zavaritt

Anna Zavaritt:
E’ vero che la base della motivazioni in azienda è diversa tra uomini e donne? Il fatto che spesso le prime lavorino per la soddisfazione e l’impegno personale, i secondi per i risultati e quindi i soldi non dipende anche da una diversa politica retributiva?
Si parla molto in questo periodo di “role modeling”: è vero che una donna manager puo’ avere un effetto “domino” dimostrando che “ci si puo’ riuscire”?
Come si fa a ” cambiare le regole del gioco ” ?

Luisa Pogliana:
Le motivazioni verso il lavoro sono molto diverse nelle donne rispetto agli uomini, e anche la loro concezione di carriera e i comportamenti e le aspettative verso la remunerazione.
Bisogna partire dalla base: la scelta di fare un lavoro qualificato e impegnativo non è un obbligo sociale per una donna. Certo, nella maggioranza dei casi lavorare si deve, ma cercare un percorso professionale di alto profilo nasce da una motivazione personale. Per un uomo, invece, il modello sociale si fonda imprescindibilmente sul lavoro, sul successo. Si potrebbe dire che mentre un uomo deve, una donna sceglie di fare carriera. Quindi diversa è anche la sua aspettativa verso il lavoro.
Il lavoro a cui queste donne ambiscono comporta benefici che vanno ben oltre il guadagno economico. Ciò che vogliono riguarda soprattutto le possibilità di autorealizzazione. Il lavoro assume un valore intrinseco, un ruolo orientato alla costruzione di sé, della propria identità. Anche la concezione di carriera è diversa, vista più come realizzazione di un progetto di vita complessivo, che non esclude tutto il resto della vita.
E’ piuttosto questo a incidere sulla loro retribuzione, che non viceversa. Le donne non chiedono, è un problema noto e confermato, per mille motivi. L’educazione tradizionale e sociale che reprime ogni forma di affermazione di sé, ogni richiesta e attenzione per sé. La paura che la contrattazione rovini la relazione con la controparte. La bassa autostima, che le fa sempre dubitare del proprio valore. Contano anche dinamiche legate a consuetudini di ruolo, come il prendersi cura della famiglia, un lavoro gratuito ripagato dalle relazioni affettive: come se amore e soldi facessero 100, e dunque dove c’è tanto amore ci possono essere pochi soldi. Lo stesso meccanismo si attiva con il proprio lavoro: dove c’è passione e soddisfazione per il lavoro (cosa tipica delle donne che scelgono e amano il loro lavoro), ci può essere una remunerazione economica insoddisfacente. In più le donne hanno verso l’azienda un’aspettativa meritocratica: il lavoro ben fatto sarà visto, apprezzato, remunerato. Così non valorizzano il proprio lavoro, non si fanno pubblicità, e il loro lavoro finisce così per passare sotto silenzio.
Si potrebbe continuare molto a lungo su questo problema, perché gli effetti sono disastrosi: se non si chiede abbastanza il nostro valore agli occhi dell’azienda è quello di cui ci siamo accontentate, e in più l’azienda saggia il carattere, e continuerà non solo a non dare, ma a valutare negativamente le doti manageriali di quella donna: la capacità di contrattare, di farsi valere è un dote manageriale.
Per quanto riguarda il role modeling, è ovvio che aiuta, incoraggia. Una cosa di cui le donne sentono molto la mancanza è proprio quello di modelli femminili con cui confrontarsi, che mostrino una via diversa, in cui trovarsi più a proprio agio, e più si arriva a posizioni alte in azienda più si è sole. Ma vedere altre che ‘ce l’hanno fatta’ funziona davvero solo a certe condizioni. Intanto se una donna si afferma mettendo in campo caratteristiche maschili, adeguandosi al modello unico maschile (come è stato soprattutto nella prima ondata di donne manager), questo è se mai una conferma che per arrivare lì non si può restare donne. Conta invece se quella donna ha raggiunto una posizione importante restando se stessa, mantenendo e valorizzando le sue caratteristiche femminili, un diverso stile di leadership -come si dice molto-, e anche non perdendo per strada il resto della sua vita, per esempio, i figli, l’amore. Allora questo dice molto più chiaramente che si può, e mostra come, mostra un modo diverso di essere leader in cui tutte possono rispecchiarsi e trovare strumenti. Conta infine una cosa importante: la relazione che si può stabilire con altre donne. Se questo percorso non resta un fatto individuale, ma viene messo in circolo, e se viene sostenuto da altre donne, allora crea diventa un passo avanti per tutte. Perché le conquiste individuali che restano tali non cambiano realmente le regole aziendali che penalizzano le donne. Diventano un’eccezione (che conferma le regole), che riguarda solo una persona, e che può essere cancellata, rimangiata in qualunque momento. Se restano e sono gestite come fatto individuale, può anzi rafforzare la bassa stima di sé che molte di noi si portano silenziosamente dentro: “ecco, lei sì che è brava, sono io che non sono capace, che sono solo un bluff”.
Così arriviamo a parlare di come cambiare le regole, domanda per cui ovviamente non c’è una risposta bell’e pronta né tanto meno semplice. La diversità femminile porta a sovvertire i codici, l’organizzazione del lavoro, i tempi e le modalità di relazione. Quello che ho visto io e ho ritrovato nella mia ricerca-libro, è la capacità di molte donne di portare nel loro ruolo manageriale la loro differenza, dandole valore e affermandone il valore. Non ignorano i vincoli entro cui si muovono, ma agiscono tenendo conto di come sono loro e di cosa vogliono, e ogni giorno cercano di allargare i confini del possibile e dell’accettabile. Quello che possiamo fare, dunque, è non accettare che le regole siano comunque più forti, che si debba inevitabilmente adattarsi.
Certo è difficile cambiare da sole, per questo è importante cercare relazioni con le altre donne. Parliamo di network, là dove ci sono, ma anche, più semplicemente, di stabilire relazioni con altre donne nella stessa situazione. Se ne ricava subito aiuto e forza, e insieme ad altre si acquisisce più potere di incidere sulla realtà. Queste relazioni fondate su interessi comuni, sul sostegno e lo scambio reciproco, possono essere un moltiplicatore di forza, uno strumento potente di cambiamento per tutte.

(Sul blog La vie en rose, 13 maggio 2009)

Condividi

Categorie

Categorie

Archivi

Archivi

Articoli recenti

A Marisa Bellisario

“Non è difficile comandare, è difficile obbedire…Non potrei mai rinunciare alle mie convinzioni”, “il potere del manager serve per decidere, più che comandare”, “l’organizzazione del

Leggi tutto »