In questo momento così complesso, caratterizzato dalla globalizzazione, dall’incontro/scontro con storie e culture differenti e da una sorta di “onnipotenza” tecnologica che ci inquieta, si sente sempre più la necessità di nuovi pensieri e pratiche che ci aiutino a distinguere ciò che è vero da ciò che è “fake” e che ci mostrino nuovi orizzonti, più generativi. Ma dove trovare delle indicazioni che ci aiutino a vedere le nuove vie da intraprendere? Luisa Pogliana nel libro “Esplorare i confini – Storie di donne di donne che cambiano le aziende” ci dà alcuni suggerimenti.
Le donne, dice lei, si muovono in modo diverso, sanno “misurarsi con i vincoli senza perdere il proprio orientamento, trovare un equilibrio tra libertà e necessità”, maturano “le decisioni tarandosi sulla situazione che hanno davanti, su quello che a loro sembra giusto e possibile anche se non sostenuto dalle consuetudini. Avviano un processo e lo sviluppano misurandosi via via con la realtà. Non è una riduttiva questione di pragmatismo, è un modo di pensare libero da pregiudizi attento alla specificità, alle circostanze, al contesto umano e affettivo”.
E’ un modo di fare che fa parte dell’esperienza di molte donne, e che è ora importante portare alla luce, dando valore a questo “metodo esemplare”, che molto spesso negli anni non è stato compreso, che è stato trattato come “banale buon senso”, come uno “stare troppo nel presente” senza avere un modello e una visione sul futuro.
E’ interessante vedere che i principi ispiratori di questo “metodo esemplare” erano già stati messi in luce in passato da alcune importanti studiose di management
Negli anni 20 del secolo passato, una delle prime studiose di management, Mary Parker Follett, diceva che per poter prendere delle decisioni è prima di tutto necessario ” analizzare in modo corretto la propria esperienza. (…). e avere ben chiari i principi su cui si possono basare le nostre azioni (…)Il secondo passo è quello di assumere un atteggiamento responsabile scegliendo uno dei principi basandosi sui criteri che ognuno ritiene più corretti, criteri che ovviamente possono variare anche notevolmente da individuo a individuo, (…)
Sembra un dialogo costruito a distanza con Luisa Pogliana, che non pur non conoscendo il lavoro di Mary Parker Follett (per questo il dialogo impossibile è ancora più interessante) che dice “Partire dalla realtà a cui dobbiamo dare risposte e da come noi la vediamo, non da modelli e procedure consolidate: nelle esperienze raccolte è il punto di partenza che apre a visioni e soluzioni nuove”.
Partire dai dati di realtà non vuol dire che andiamo a tentoni, il punto che vogliamo raggiungere ci è ben chiaro. Abbiamo dei “principi” su cui appoggiarci, etici, relazionali, e li verifichiamo nella prassi durante lo svolgimento delle nostre attività. La strada da percorrere per raggiungere la nostra meta non è definita a priori, la costruiremo man mano insieme alle persone con cui siamo in questo momento e con chi nel tempo si unirà al nostro percorso. E abbiamo anche il coraggio di fermarci se l’incontro con la realtà ci chiede di farlo, riconoscendo che una pausa e un ripensamento possono essere necessari, senza per questo perdere la bussola del nostro agire.
Dice ancora Mary Parker Follett “quello che mi preme ora non è tanto che voi adottiate quanto potrò suggerirvi, ma piuttosto che vi soffermiate a riflettere sui principi a cui vi ispirate”,”inoltre vorrei spingervi a prendere nota dei risultati, che otterrete dal momento che la prima scelta non può essere che un’ipotesi da verificare, correggere, avvicinandosi per tentativi alla soluzione ottimale”.
Interessante ancora il raffronto con Luisa Pogliana che afferma “le donne partono senza avere in testa un piano definito, ma con una visione e dei criteri. Sanno l’obiettivo che vogliono raggiungere e come fare, ma sanno anche che il percorso non può essere tutto prevedibile”
Si può cogliere in queste parole un chiaro collegamento con il pensiero di Joan Woodward, un’importante studiosa delle organizzazioni, una dei Magnificient Seven, il gruppo di ricercatori inglesi famosi degli anni Sessanta. Woodward afferma che: “There is no best way”, non esiste un modo ottimale di organizzare il lavoro di un’azienda, il modo migliore si trova tenendo conto delle circostanze reali, dell’esperienza concreta che ci permette di riconoscere, attraverso una relazione con il contesto, quegli elementi che possono essere vincenti in una particolare situazione. Valorizzare un modo differente di agire e di essere nel proprio lavoro, più legato al contesto, che privilegia il rapporto con le persone, con i dati di realtà e con il “qui ed ora” è una cosa che alcune donne stanno quindi cercando di fare da molto tempo, ma è un’impresa difficile, perché è un metodo che non si può rinchiudere dentro uno schema preconfezionato e riproducibile in ogni circostanza (che in un certo senso è più rassicurante, come un rito magico), ma richiede fiducia nelle propria esperienza e nelle relazioni che si vanno via via costruendo.
Carmen Leccardi, un’importante studiosa italiana delle organizzazioni, riflettendo sul tema del rapporto tra donne e tecnologie mette in luce uno specifico stile cognitivo, definito come stile del “bricoleur”, che ci sembra coerente con quanto stiamo affermando finora e ci illumina sulla diversa modalità che hanno le donne di pensare ed agire, nel mondo del lavoro e anche nella vita di tutti i giorni.
Dobbiamo qui prestare attenzione al fatto che qui la parola “bricoleur” non è usata in senso dispregiativo, di lavoro fatto in modo approssimato e scarsamente professionale, ma fa riferimento alla persona che “esegue un lavoro con le proprie mani utilizzando strumenti diversi da quelli usati dalla persona del mestiere. Ciò che colpisce, osservando il bricoleur, è la sua capacità di adattarsi ai materiali disponibili, di costruirsi passo passo l’equipaggiamento necessario” “Ciascun elemento dell’insieme sul quale il bricoleur agisce non è vincolato ad un impiego pre-determinato e l’esito del lavoro è legato alle condizioni e ai mezzi con cui egli si confronta qui-e-ora. I risultati del lavoro intrapreso sono, perciò, per definizione contingenti.”
Ritorna qui la parola “contingente”, già utilizzata da Woodward e ripresa più recentemente da Luisa Pogliana, in un circolo virtuoso che passa di generazione in generazione.
Sono temi che meritano sicuramente degli approfondimenti, per il momento queste riflessioni potrebbero essere un punto di partenza che ci aiuta a ritrovare una bussola per il nostro agire, ancorata alla nostra esperienza e nello stesso tempo in grado di aprire i pensieri e le pratiche a nuove possibilità.
La nostra scommessa è quella di riuscire a dire sulla scena pubblica che il nostro metodo (“metodo” e non “modello” si raccomanda in modo ben argomentato Luisa Pogliana) che parte dalla nostra pratica e dalle relazioni concrete è più efficace rispetto a molti schemi codificati che si stanno rivelando sempre più inadeguati rispetto alla complessità e alla velocità del tempo presente.
Annamaria Rigoni
Annamaria Rigoni, Consulente, Formatrice e Professional Counselor. I temi della leadership, delle relazioni nei gruppi, dello sviluppo della progettualità, del benessere nel lavoro sono al centro della sua attività professionale. Da molti anni svolge una appassionata ricerca sulla relazione donne-lavorI libri citati sono : Luisa Pogliana – Esplorare i confini. Pratiche di donne che cambiano le aziende – Guerini Next 2016; Mary Parker Follett – Nuovi modelli di direzione delle imprese – scritti negli anni ’20 e pubblicati successivamente , edizione italiana Franco Angeli del 1979, oggi introvabile, fa parte della mia biblioteca privata; Carmen Leccardi Le donne, il lavoro, il tempo, la tecnologia, saggio contenuto nel libro Fare e Pensare – Donne lavoro, tecnologia, Rosenberg e Sellier editori 1995