Patrizia Di Pietro, HR Director Commercial Functions EMEA , GE Capital
Come ormai prassi nelle grandi multinazionali, nella mia azienda adottiamo politiche attive di Diversity management, che nel nostro caso in Italia hanno riguardato finora sostanzialmente le donne. Con l’obiettivo di avere una buona presenza di donne in tutti i livelli organizzativi. Operando nell’ambito di queste iniziative, ho avuto particolare attenzione sia all’inserimento di donne dall’esterno attraverso assunzioni, sia alle promozioni interne all’organizzazione, con il risultato di aver assunto o promosso diverse donne in posizioni di responsabilità e aver visto “spostarsi” l’ago della bilancia della distribuzione del potere. Questo risultato è stato ottenuto agendo in diverse direzioni.
Innanzitutto quello di aumentare la presenza di donne in ruoli di responsabilità è diventato un esplicito obiettivo della Direzione del Personale che è stato assunto con interesse e sfida sia dal team di recruitment, sia dagli HR business partner. Per essere efficaci nella ricerca di manager donna abbiamo richiesto precisi impegni agli head hunter ingaggiati: per qualunque ricerca loro assegnata, ci deve essere sottoposta una short list di candidati che contenga almeno una donna; qualora non ne avessero di adatte, devono comunque presentarci una donna che abbia le caratteristiche più vicine a quelle ricercate. In questo modo possiamo comunque conoscere delle manager di qualità, che magari non sono adatte per quella specifica posizione, ma che possono essere tenute in considerazione per potenziali posizioni future. O addirittura posso strutturare diversamente l’organizzazione del settore interessato in modo da inserire quella donna in una posizione importante per l’azienda ed adatta alle sue capacità. Questa valutazione organizzativa può essere effettuata, ovviamente, anche per valorizzare le capacità o il potenziale di donne già presenti in azienda.
Un grande contributo all’individuazione di donne di valore è stato dato anche dai manager dei vari settori. Abbiamo avviato un progetto di talent mapping e chiesto ai manager di segnalarci nomi di donne che conoscono e considerano adatte per le nostre “open positions” o per la nostra organizzazione in generale. Se i nomi di donne non emergono immediatamente, chiediamo di ampliare il terreno di esplorazione e di pensare a brave manager che sarebbero proprio adatte per la nostra azienda. In questo modo svolgiamo un’opera di educazione, si crea una cultura: fare questa domanda, chiedere in maniera esplicita di pensare ad una donna, significa portarli a considerare le donne e vederne le qualità. Dopo aver fatto queste domande alcune volte, i manager si trovano poi a pensarci spontaneamente. I pensieri strutturano la realtà, i collegamenti mentali che sono stati attivati si riproducono, diventano presenti nella routine quotidiana.Ma non ci limitiamo a questo. Per conoscere le donne segnalate organizziamo degli eventi informativi e di networking che consentono di stabilire un contatto diretto e di creare un bacino di donne capaci che possano essere valorizzate, con beneficio per loro e per l’azienda.
E questo è solo l’inizio. Non so se siamo stati fortunati o se le donne operano prevalentemente in questo modo, ma stiamo assistendo a dei cambiamenti nell’agire manageriale. Le donne che abbiamo inserito in posizioni di responsabilità hanno una buona capacità di usare il loro ruolo ‘di potere’, nel senso positivo di far accadere le cose, e lo fanno rispettando e valorizzando le persone. Anche quando devono prendere compiti e decisioni difficili. Faccio un esempio: se una persona non lavora bene, si può affrontare la questione in diversi modi. Queste donne parlano apertamente con la persona di questa valutazione non positiva, e lo fanno però in un modo costruttivo e rispettoso, in modo da non far perdere l’autostima nelle proprie capacità. Risolvono il problema magari spostando la persona ad attività più adatte alle sue caratteristiche, facendola sentire in grado di fare bene in un altro ruolo. Non che gli uomini non sappiano fare lo stesso, ma più spesso nella mia esperienza, se c’è un compito sgradevole, spesso evitano di affrontarlo o delegano a qualcun altro, o non hanno pazienza e comunicano la decisione in modo asciutto e impacciato, facendola così apparire punitiva.Succede anche un’altra cosa. Queste donne adottano una modalità cooperativa invece che competitiva. La valorizzazione delle capacità e responsabilità individuali non è tesa a rafforzare il proprio territorio (questa è un po’ la sostanza dell’atteggiamento competitivo). E’ tesa al raggiungimento di un risultato che, se è positivo, viene ascritto a merito di tutti. L’atteggiamento è questo: ragioniamo su come raggiungere un risultato, e se lo raggiungiamo ne beneficiamo tutti. Questo agire cooperativo è possibile quando si riesce a non sentirsi minacciati da chi agisce in modo competitivo ed è nello stesso tempo contagioso perchè non sollecita o attiva reazioni competitive. Si può così davvero cambiare molto il modo di affrontare le situazioni, con un orientamento ad un risultato più ampio rispetto alla propria specifica responsabilità, più complessivo rispetto a quello individuale. Assistiamo ad uno spostamento dell’attenzione dall’io al noi. Non è un noi che elimina le individualità, anzi le esalta, ma rispetto ad un interesse collettivo. Vedo accadere anche un altro cambiamento: quando le donne cominciano a introdurre questi comportamenti, essi si diffondono, anche gli uomini cominciano ad adottarli, hanno meno paura di abbandonare comportamenti competitivi. E’ questo il valore della diversità, che cambia la realtà.
Un’altra direzione su cui abbiamo lavorato è garantire lo sviluppo professionale delle donne al ritorno dalla maternità. Ci sono molti modi per affrontare ogni singolo caso: a volte si può ristrutturare il settore senza sostituire la donna in maternità che riprenderà la sua responsabilità al rientro, a volte invece le situazioni cambiano rapidamente e al rientro è necessario un cambio di ruolo. L’essenziale è che ciascuna donna venga sempre tenuta in considerazione dall’azienda. Molte le strade possibili, ma l’azienda deve tener conto che ogni donna ritornerà dalla maternità, e quindi deve essere mantenuta nei normali processi di pianificazione delle carriere. A volte accade che le donne al ritorno in ufficio si sentano più fragili rispetto all’azienda e temano le nuove proposte come un pericolo. In questi casi bisogna lavorare con loro per chiarire le prospettive, l’opportunità che contengono, perché creare l’apertura al nuovo quando non è possibile riprendere il ruolo precedente. In questi casi cerchiamo di definire ruoli che permettano di tenere conto meglio delle esigenze legate all’avere un bambino piccolo e che costituiscono ottime opportunità di crescita professionale e transizione tra fasi diverse della vita personale senza dover operare forzature ai naturali cicli di vita. Avendolo sperimentato come mamma, so che non sarà mai possibile recuperare i giorni non trascorsi con il proprio bambino piccolo, mentre dal punto di vista professionale due o tre mesi in più o in meno possono essere tranquillamente recuperati, non si perde nessun ‘treno’. Anzi, è molto meglio tornare al lavoro quando ci si potrà dedicare in modo più sereno, potendo affidare ad altre persone il bambino dopo la fase del maggior bisogno reciproco del bambino e della mamma e portando con sé una nuova maturità di vita.
In fondo, si può dire che dietro tutte queste direzioni di lavoro il mio indirizzo è di far sì che organizzazione e persone, interagiscano e si arricchiscano reciprocamente.