Le donne, il management, la differenza. A partire da Luisa Pogliana. Un articolo di Traudel Sattler e Christiane Vaugeois

Le donne, il management, la differenza. A partire da Luisa Pogliana


di Traudel Sattler e Christiane Vaugeois

 

Ci capita spesso, quando ceniamo insieme, di parlare di lavoro, e ascoltando Christiane mi è successo di non capire il mondo dove passa molto del suo tempo: mi sembrava un castello kafkiano. Mi raccontava di strutture e decisioni dall’alto incomprensibili, carriere stroncate di persone anche capaci, comportamenti controproducenti anche per l’impresa stessa, impossibilità di agire, frustrazione. Io che sono una docente faccio fatica a immaginarmi un posto così. Invece si tratta di una normale grande multinazionale.

Poi un giorno mi chiede di portarle un libro dalla libreria: Le donne, il management, la differenza, di Luisa Pogliana (Guerini e Associati, Milano 2012). Lo leggo anch’io, e di colpo ritrovo nero su bianco la sofferenza e l’insofferenza di cui mi parla Christiane. Chi parla sono delle dirigenti che si sono trovate ad affrontare « atteggiamenti arroganti, autoritari, sprezzanti e autoreferenziali. Arbitrio e coercizione. Manovre meschine e subdole, tese a umiliare e a escludere», e ne indicano la causa: il potere, e più precisamente il potere mal gestito, in azienda.

Io sono una di quelle che si è sempre sottratta spontaneamente ai meccanismi del potere, per un senso di disgusto e di autoconservazione. Questo è il motivo principale per cui non ho mai preso in considerazione di intraprendere una carriera accademica. Tale ripugnanza ha avuto come effetto, quindi, anche una forte autolimitazione. Inoltre, la sottrazione non mi ha mai permesso di avere un contatto diretto con il potere che per me è rimasto un’entità oscura.

Ora leggo queste donne che il potere lo toccano con mano perché si trovano in posizioni alte all’interno delle aziende. Può sembrare sorprendente che anche loro, sebbene siano arrivate così in alto, provino estraneità e qualcuna persino ripugnanza fisica. Ma è proprio questa vicinanza e lo sguardo della differenza, che permette loro di vederlo così bene, di coglierne la negatività e di svelarne i meccanismi distruttivi e i comportamenti disfunzionali. Vedono come il potere per gli uomini non sia solo un mezzo, ma un’identità, un codice. Svelano come molti uomini usino il potere per scopi personali, come dietro ad una pretesa cultura manageriale ci sia vera e propria perversione. Non avevo mai letto un’analisi così lucida del potere.

Ma queste manager non si limitano a formulare una critica radicale del potere: fanno un grande salto di qualità. Spinte dal desiderio di migliorare la propria vita lavorativa per se stesse e per le altre persone e dalla passione di agire liberamente, non scappano. Vogliono stare nei posti decisionali e decidono di imparare le dinamiche e le regole non scritte, il linguaggio del potere – non per farselo proprio ma per scoprire i pericoli e per capire come muoversi. Per loro non è più possibile fuggire nell’estraneità, «non posso permettermelo, perché sono anche fatti miei». Vedono sì il negativo, indagano gli ostacoli esterni e anche interni (pudore di usare il potere, senso di colpa che porta ad atteggiamenti materni), ma nominano anche le potenzialità nei ruoli decisivi agiti diversamente. Aprono una pista nuova per un’altra concezione del potere, un «potere di fare», un «potere ben esercitato», strappando così il monopolio di saper governare a chi crede che esista solo la modalità del dominio. Fanno vedere che la prossimità con il potere non necessariamente ti corrompe, che le donne in posizioni decisionali non sono per forza delle assimilate e cooptate, fornendoci così un tassello per arrivare a una misura femminile del potere. Anche per poter giudicare l’operato di altre donne potenti. (Traudel)


Anche a me Luisa Pogliana ha dato speranza su un diverso modo di rivedere l’organizzazione aziendale. Sono entusiasta del suo libro; mi ha creato un trait d’union tra la Libreria delle donne, la ricerca del Gruppo Lavoro e la mia vita in azienda.

Sebbene il vecchio dirigente panciuto con cravatta descritto nel libro è oggi sostituito da un amministratore giovane, “alla mano”, senza cravatta, sportivo, “amico”, i rapporti di potere in azienda non sono cambiati. Anzi sì, in peggio, la vecchia dirigenza che aveva a cuore l’andamento dell’azienda è stata sostituita da amministratori che vanno e vengono e da giovani dirigenti e quadri, più timorosi di prima perché più a rischio, e che, più che l’azienda, hanno a cuore il rimanere nella cerchia del potere, quella dei “benedetti” dall’AD perché se osi mostrare qualche disaccordo rischi l’esclusione e la fine della carriera, per ritrovarti magari da un giorno all’altro in una posizione subalterna a chi hai formato tempo fa. Questo stile autoritario che oggi non è più accettato socialmente, né a scuola, né per il governo di un paese, come sottolineano anche Pogliana e le altre manager, nell’azienda invece risulta permesso, normale. Così gli “yes men” crescono a prescindere delle loro competenze. A volte sembra che l’organigramma, la tua esperienza, non abbia importanza, conta il tuo rapporto con il potere aziendale…

Mi sono perfino divertita a leggere il libro di Luisa Pogliana, con gli esempi riportati dalle altre dirigenti: man mano che scorrevo le pagine sorridevo nello scoprire che quello che credevo una caratteristica propria dell’azienda dove lavoro è in realtà un comune denominatore di molte imprese. L’analisi, gli scambi e la ricerca di queste manager mi hanno autorizzata a reagire, a non lasciarmi andare in quel vortice degli inevitabili sviluppi del potere che a volte mi sembrano incompatibili con la crescita dell’azienda, col benessere dei/delle dipendenti e le esigenze dei/delle clienti. Oggi dobbiamo seguire procedure infinite che permettono sì di stimare e calcolare il carico e i tempi di lavoro di ognuno/a, ma queste procedure a loro volta ti fanno perdere un tempo infinito. L’obiettivo dichiarato è ridurre i tempi di lavoro e risparmiare. Il risultato è che vengono ridotte al minimo le relazioni fra i/le dipendenti delle varie divisioni e un conseguente malessere e incomprensioni e conseguenti perdite di tempo e di denaro. Sarebbe questa la base indispensabile per la crescita? Oggi questo libro mi dà la forza di andare oltre a quelle procedure e di agire con responsabilità, per una crescita e un recupero economico dell’azienda, tenendo sempre in grande considerazione la relazione con i/le clienti.

Ma quello che mi ha più colpito in assoluto del pensiero dell’autrice e delle altre manager è che nella loro posizione di “potere” hanno avuto l’intuizione e la capacità di trasformare quello che in questi ultimi anni è sempre stato considerato come un freno allo sviluppo dell’azienda in una leva per farla crescere e organizzarla meglio: la maternità. Hanno trasformato la differenza in forza, valorizzando la maternità come perno per rivedere l’organizzazione aziendale. Finora non sapevo come nominare, come organizzare il mio pensiero nel guardare l’agire di alcune mie colleghe in posizioni decisionali. Pogliana me lo ha evidenziato e messo per iscritto.

Da tempo capivo il pregio di alcune mie colleghe che gestiscono il lavoro di altre donne. Mi sembrava che facessero qualcosa di grande nel loro modo di relazionarsi e di incoraggiare altre donne e in particolare giovani collaboratrici che tornano in azienda dopo il congedo di maternità, ma non sapevo nominarlo. Invece è così evidente: le mie colleghe non agiscono nella logica dei rapporti di potere ma costruiscono relazioni con le persone attraverso il lavoro. Una mia collega e amica mi diceva che «per l’uomo, il potere è fine a se stesso, fanno riunioni infinite con l’unico scopo di definire i rapporti di forza. Per le donne, il potere è nel fare. Nelle riunioni le donne sono molto più concrete e centrate sul fare, sulla conoscenza, sulla capacità. E se il lavoro è organizzato in questo modo, possono anche andare in maternità».

Spesso vedo giovani colleghe che dopo aver fatto figli hanno abbandonato ogni idea di carriera, sono come apatiche e si attengono strettamente alle procedure, indifferenti ai risultati e eventuali necessità di lavoro. Questo a volte mi ha fatto arrabbiare, a me che non ho fatto la scelta della maternità, ma il libro di Pogliana mi ha fatto riflettere:come ci si può aspettare un coinvolgimento quando l’organizzazione stessa nega la tua maternità? La tua vita. Il libro mi dice che si può fare. Non è facile e richiede mediazioni sul filo del rasoio ma si può fare. (Christiane)

Pubblicato su: Via Dogana n. 104, marzo 2013

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