LE DONNE NEL MANAGEMENT CONTRO UN POTERE DI DOMINIO- Luisa Pogliana al Webinar  “A Safe & Normal Day” di SAFE-PensieroFemminile

Intervento di Luisa Pogliana

Una genealogia di donne nel management: una diversa concezione del potere.

Le precorritrici dell’800 e del 900

Beatrice Webb, 1858–1943, personalità poliedrica, è riformatrice sociale, ricercatrice, economista, ispiratrice del laburismo britannico, ideatrice e co-fondatrice della London School of Economics. E’ la prima grande studiosa dell’organizzazione del lavoro, la prima a dare una definizione del ruolo manageriale e del suo rapporto con i lavoratori. E’ lei che ‘inventa’ la contrattazione collettiva -”collective bargaining”- e definisce per una comissione parlamentare le linee guida di un welfare state. Dopo ricerche sulle cooperative, su lavoro e vita delle donne nelle fabbriche, sul sindacato, nel suo libro più importante Industrial Democracy introduce questo concetto, tuttora fondamentale: un management ‘democratico’, che riconosce il ruolo e gli interessi dei lavoratori nella vita dell’azienda, e li ritiene compatibili con una gestione aziendale efficiente, perchè l‘una cosa dipende dall’altra.

Mary Parker Follett, 1868–1933, riformatrice, consulente di Roosvelt per il Welfare State, crea e gestisce una rete di social community, luoghi di incontro, istruzione, integrazione per le persone meno abbienti. Da questa esperienza ricava una visione del management molto all’avanguardia. Rovescia l’esercizio del potere in azienda: il potere come “power over” (potere-su) -ovvero comando e controllo- produce pessimi effetti per l’azienda, mentre è più fruttuoso un “power with”(potere-con) ovvero un potere condiviso, non coercitivo: “Il lavoro essenziale di un leader è creare nuovi leader”. Il suo pensiero è ancora oggi molto influente: è stata definita “a management prophet

Joan Woodward, 1916-1971, prima donna docente di management in una università tecnologica, i suoi studi sull’organizzazione del lavoro sono talmente innovativi che è chiamata a far parte del gruppo dei sette migliori studiosi di questa disciplina nel mondo, detti i Magnificent Seven. Notevole riconoscimento per una donna e negli Anni 60. Infatti è lei che introduce la ricerca empirica sull’organizzazione industriale, per verificare la reale efficienza dei modelli teorici dell’accademia. Allora dominava lo Scientific Management, basato sul Taylorismo. Per 10 anni svolge una ricerca su 100 aziende. I risultati sono pubblcati nel suo libro tuttora fondamentale Industrial Organization,Theory and Practice che già nel titolo contiene il concetto dirompente: la ricerca sulla pratica reale smentisce il modello accademico considerato universale: le aziende di maggior successo non sono necessariamente quelle che lo adottano, ma quelle con un’organizzazione funzionale alle loro caratteristiche, alla loro contingenza. “There is no ‘one best way’ ”. Viene emarginata e dimenticata, anche perché il modello canonico era funzionale a un management autocratico, attraverso una gerarchia capillare di comando e controllo.

Uno straordinario gruppo di donne eccellenti si forma intorno a Woodward, docenti e ricercatrici di diverse discipline, che applicano nel loro campo l’approccio empirico di ricerca sull’organizzazione aziendale. Come Marie Jahoda (‘gli effetti della disoccupazione di lunga durata’), Lisl Klein (‘il senso del lavoro’), Enid Mumford (‘far lavorare le tecnologie per le persone’). Un’avanguardia che segna l’epoca d’oro della ricerca psico-sociologica sull’industria in Gran Bretagna, accomunate dallo scopo di migliorare il mondo del lavoro.

Le manager contemporanee: un altro modo di governare le aziende

Troviamo una continuità di visione anche nelle donne manager di oggi, che realizzano politiche in discontinuità con le prassi manageriali consolidate, quando insufficienti e inadatte.Il loro punto di svolta è stato assumere ruoli decisionali alti, ma senza adeguarsi alla cultura che vi domina, portando invece un diverso punto di vista di donne. Per queste manager l‘azienda è il luogo in cui convergono soggetti diversi, portatori di interessi diversi -la proprietà, i finanziatori, i lavoratori e le lavoratrici- ma di tutti bisogna tenere conto perché tutti contribuiscono a creare valore. L’azienda è una costruzione comune.Il potere non è dominio, comando, controllo, è la libertà di agire secondo i propri princìpi, ma per governare l’azienda nell’interesse comune. Nelle loro politiche troviamo così due grandi orientamenti. Il primo è che l’azienda cresce se crescono le persone che vi lavorano, se vengono fatte partecipi della vita aziendale, per contribuire ai risultati avendone un loro ritorno. Si passa da un’organizzazione del lavoro fondata sul controllo  ad una fondata sulla responsabilizzazione diffusa. Un esempio.

Rossella Bifero viene nominata responsabile del personale dell’azienda dove allora lavorava, nel momento in cui viene commissariata, con il mandato di arrivare alla dismissione. Un’azienda di eccellenza europea, ma con problemi finanziari. Bifero, invece della chiusura, pensa a un progetto per la sopravvivenza: portare a termine le commesse in corso e sospese, dimostrando che l’azienda è può continuare l’attività con nuove commesse. Con continui capillari incontri ha coinvolto tutti, ha fatto leva sulle capacità e responsabilità di ognuno, ascoltando le proposte dei lavoratori sui processi del loro lavoro. Un forte impegno e sacrifici, ma per un interesse comune: salvare l’azienda per salvare il lavoro di tutti. E l’obiettivo è stato raggiunto. L’azienda è ancora oggi sul mercato.

L’altro principio è che il lavoro non è separato dal resto della vita, e di questa interezza l’organizzazione deve tenere conto, perché si lavora bene se si vive bene. Molte manager hanno dunque pensato a nuovi paradigmi organizzativi per il problema cruciale delle donne: tenere insieme maternità e lavoro, perché non sono inevitabilmente alternative (e vale anche per gli altri aspetti dove vita e lavoro si ostacolano a vicenda, uomini compresi.Cambia la cultura del controllo basata sulla presenza fisica in azienda, introducendo un concetto dirompente: separare il tempo dall’orario. Sono nate così politiche fondate sulla flessibilità di orario/luogo di lavoro, lavorando per obiettivi. Facciamo solo un esempio rispetto alla maternità (risale a diversi anni fa, mostrando come da tempo ci sono manager attive nel cambiare le prassi limitanti)

Anna Deambrosis, allora responsabile di un importante settore di business in un’azienda assicurativa, Voleva un figlio, ma evitando di essere come al solito rimossa e con blocco di carriera. La soluzione è stata costruire un modo di lavorare in gruppo con responsabilità condivisa. Con un’intensa formazione e sperimentazione nel lavoro quotidiano ha sviluppato le capacità professionali e decisionali dei collaboratori, mettendoli in grado di agire in sufficiente autonomia, con direttive essenziali, durante la sua limitata presenza. Ognuno è stato premiato in base ai risultati del gruppo. Che sono stati così fruttuosi che il modello è diventato permanente e per tutta l’azienda. Oggi è AD di un’azienda del gruppo.

Più donne nei ruoli decisionali per cambiare la natura del potere

Eppure, nonostante l’evidenza che molte manager hanno attuato politiche innovative con risultati positivi, il top management resta territorio degli uomini.Vediamo perché. Partiamo dalla legge sulla presenza minima di un terzo di donne nei CDA. In 5 annni ha raggiunto l’obiettivo. Tuttavia le donne entrate nei CDA hanno avuto in gran parte -65%-ruoli di controllo (sindaci e consiglieri indipendenti), non quelli con potere di indirizzo, che sono l’amministratore delegato, qualche top manager, rappresentanti degli azionisti principali. Inoltre il Consiglio decide gli obiettivi dell’azienda, ma le politiche per raggiungerli si decidono dentro l’azienda, nel top management. Ovvero i ruoli aziendali dove le donne non ci sono. E’ una questione di ricambio delle élite, che tendono a riprodursi uguali a se stesse. E dato che si tratta di un’élite di uomini, le donne sono escluse. Così la cultura aziendale, che in quei luoghi si forma e agisce, continua ad essere solo maschile, e spesso anche misogina. Il danno è vasto: tra uomini e donne c’è una clamorosa disparità retributiva e di carriera, che porta all’abisso di ricchezza posseduta dagli uomini rispetto alle donne. Fenomeni documentati dalla Banca d’Italia, che indica le cause cause soprattutto nel mancato accesso delle donne alle carriere, con la conseguent remunerazione. Questo riguarda tutte le donne, a tutti i livelli. Anche nei lavori regolati da contratti sindacali con pari retribuzione a parità di mansioni, nei settori produttivi dove la manodopera prevalente è femminile la remunerazione media è più bassa rispetto a quelli a prevalenza maschile (il tessile verso il metalmeccanico, per esempio). E -all’estremo opposto- perfino le donne star del management guadagnano comunque un terzo meno degli uomini a pari condizioni. Insomma, il lavoro delle donne vale sempre meno del lavoro degli uomini, e questo lo decidono gli uomini, perché stanno nei ruoli dove possono imporre le loro regole. E’ un sistema di sopraffazione, una violenza economica e di possibilità di realizzazione personale. Per cambiare questo potere bisogna che più donne, con una visione differente dal modello maschile, entrino nei vertici aziendali. Oggi molte manager hanno fatto questo passo in alto o cercano di farlo. Forse proprio per questo, oggi vediamo in atto un tentativo del potere maschile di farci invece arretrare.

Le politiche misogine veicolate nella gestione del Covid

Dopo l’anomala situazione creata dal blocco per la crisi sanitaria, il potere maschile vede oggi un’occasione per ‘rimettere le donne al loro posto’, perché in un mercato che si restringe pensano che sia più facile escludere le donne. Così hanno preso corpo politiche misogine: togliere le donne dai ruoli decisionali. Riportare le donne a casa.Infatti dopo il rientro in azienda vediamo sotto attacco le manager di alto livello, per indebolire e depotenziare il loro ruolo. Cosa è successo? Queste manager (per il vincolo dei figli) sono state a casa più degli uomini, collegandosi on line, I top manager uomini, invece sono sempre stati in azienda anche con il blocco. Approfittando dell’assenza fisica delle donne hanno fatto manovre a favore di loro interessi a scapito delle donne, Perché proprio nelle situazioni informali che si creano in azienda che si fanno queste manovre e si prendono decisioni . Anche per le donne con lavori meno qualificati si prospetta un finto smart working che nel blocco era inevitabile ma ora è proposto come ‘soluzione della conciliazione’: non lavoro flessibile, ma lavoro a domicilio isolato dal contesto aziendale, che si presta a scaricare su di loro tutta la gestione domestica. In questa situazione si sono però anche aperte opportunità da cogliere. La costrizione a lavorare tutti da remoto per mesi, ha intaccato imprevedibilmente la cultura del presenzialismo. E’ ormai acquisito che il lavoro del futuro sarà sempre meno fondato sulla presenza fisica continuativa in azienda. Abbiamo la possibilità di riprogettare l’organizzazione, e su questo stiamo lavorando: capire via via dove stiamo andando e cosa è utile fare. Un lavoro da fare insieme. Mai come ora le manager stanno facendo alleanze tra loro.

Perché le donne?

Questi scorci sulle forme che la violenza verso le donne prende nel mondo del lavoro, dicono che il potere maschile esercitato come dominio è la radice di ogni sopraffazione sulle donne. Da queste donne, in tempi e luoghi diversi, emerge quindi la visione di un management fondato su una diversa concezione del potere. Perché le donne? Possiamo pensare che questo atteggiamento derivi dalla loro personale esperienza di vita in una società patriarcale. Hanno provato su di sé cosa vuol dire essere sottoposte a un potere gerarchico che non consente la libertà delle donne, impone ruoli e limiti a vantaggio degli uomini. Per questo è così decisivo che nei luoghi del potere ci siano più donne e con una diversa concezione del potere. Oggi è necessario contrastare gli attacchi che mirano invece a farci fare un passo indietro. Anche allargando le alleanze tra donne. Non occorre dirsi femministe. Come per la violenza fisica e sessuale, questi sono problemi che ci accomunano come donne.

registrazione su Youtube    https://www.youtube.com/watch?v=rrHYB4swfWE&t=2s

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